Sarajevo amore mio

Oriente e Occidente si incontrano qui
Scritto da: nuccio fanco
sarajevo amore mio
Nell’immaginario collettivo, Sarajevo non è certamente ricordata per aver dato i natali a personaggi illustri quali Goran Bregović, Emir Kusturica o Vedran Smailović, celebre musicista, il cui volto è tristemente raffigurato mentre suona il violoncello nella Biblioteca nazionale distrutta dai bombardamenti. Ne abbiamo una stampa a casa… Credo non sia nemmeno rammentata come la città in cui nel 1984 si svolsero le Olimpiadi invernali. Il Villaggio Olimpico… Sarajevo non è nemmeno considerata la Gerusalemme dell’Est, avamposto musulmano nel cuore dell’Europa.

Forse qualche studente diligente e gli appassionati di storia la ricorderanno come palcoscenico dal quale scaturì la prima guerra mondiale a seguito dell’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando per mano di un giovane, Gavrilo Princip.Roba antica. Sarajevo come “S”empre protagonista. Men che meno può essere considerata una città turistica e, difatti, non lo è. No, Sarajevo per molti rappresenta la guerra nei Balcani, l’assedio più lungo nella storia bellica moderna, durato dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996. Più di 12.000 vittime, 50.000 feriti, l’85% dei quali furono civili.

Il titolo di questo racconto l’abbiamo mutuato da un libro “Sarajevo, mon amour” che meglio di tutto esprime i nostri sentimenti. Non ce ne voglia l’autore. Dopo aver scoperto questa città, la sua gente, il suo calore è stato amore. Dalla prima volta che l’abbiamo visitata, ce ne siamo innamorati. E’ qualcosa che ti sale su dalle viscere, è una questione epidermica di cui non sai spiegarti le cause. O forse sarebbe meglio dire, non ti interessa saperlo. Certamente Nebojsa, Eldina, Dusan, Alexej, Denis e tante altre persone che abbiamo incontrato hanno contribuito a svelarci le sue meraviglie. Con discrezione e rispetto. Ci torniamo spesso, volentieri. E pensare che la prima volta molti ci dissero “Sarajevo??E cosa c’è da fare o vedere a Sarajevo??”.Ci guardammo basiti stringendoci nelle spalle con un malcelato imbarazzo.

Città tormentata, con le sue contraddizioni e cicatrici, costituisce tuttavia un unicum che va oltre, dove i reciproci influssi fra Est ed Ovest, fra Oriente ed Occidente, creano un mosaico dalle mille sfumature. Basta coglierle. Dalla fine della guerra molte cose sono cambiate; ciò che tuttavia non è mutato sono i segni della follia ancora ben visibili anche nei cuori dei suoi abitanti.

E’una mattina soleggiata. Aeroporto di Butmir, i soli italiani, oltre ai militari s’intende. Prendiamo il primo taxi che ci porta verso il centro, destinazione: Hotel Saraj. Durante il tragitto percorriamo il tristemente noto Viale dei Cecchini, passiamo davanti all’Holiday Inn, unico albergo funzionante durante l’assedio, sede della stampa internazionale, ribattezzato l’uovo all’occhio di bue. Perche? D’inverno, quando la neve è copiosa, avendo l’albergo un colore giallo, sembra il classico…Occhio di bue.

Ci fermiamo a Gbravica, quartiere dormitorio alla periferia della città, tra i più martoriati durante l’assedio. La casa di Eldina, la nostra amica. Costeggiamo la Miljacka, il fiume che attraversa la città, passiamo davanti all’Università ed alla Biblioteca sventrata. Nel frattempo avevamo già notato i segni. In hotel il personale è gentile, accogliente. Arriviamo in camera e ciò che ci si para davanti agli occhi è uno spettacolo suggestivo. Il sole tramonta in un rossore etereo che ci fa ben sperare; la città è lì, distesa in una valle, con centinaia di luci che cominciano ad illuminarla. Quelle verdi sono dei minareti. Di fronte a noi il monte Igman,dove un tempo si sciava. Anni dopo divenne un luogo non propriamente dedito allo…Sport. Adesso è pieno di mine dappertutto. Alla sinistra un cimitero! Una distesa di lapidi bianche come se rappresentassero un’attrattiva della città. Tutto normale. Più in basso, deliziose casette multicolori sulle sponde del fiume sembrano restituirci ad un’apparente normalità. Il tempo di rilassarci un po’ e siamo nuovamente per strada, la nostra strada, quella del ricordo. Mettiamoci anche della memoria, non guasta.

La Biblioteca nazionale e la Piazza dei Piccioni, cuore della città, sono a poche centinaia di metri in linea d’aria. Percorriamo una stradina e siamo lì, nel cuore di Sarajevo. Alla nostra sinistra, la Fabbrica della birra, una delle migliori d’Europa. Si può sorseggiarne una tranquillamente, nessuno vi metterà fretta!I Bosniaci sono gente molto accogliente. Rilassarsi davanti ad un caffè turco, dall’odore inebriante, in uno dei tanti bar della Piazza dei Piccioni, cuore pulsante della città vecchia, è davvero unico, sembra riportare indietro nel tempo ad antiche atmosfere con tutte le moschee che la circondano ed un nugolo di basse casette in legno. Poco distante c’è Seraci, negozi di argenteria, antiquariato e botteghe di artigiani intenti a lavorare. I minareti si stagliano all’orizzonte, maestosi ed il richiamo alla preghiera, l’azhan, ha qualcosa di mistico e rilassante insieme. Sosta e visita alla Madrasa, la scuola coranica. Sempre a Seraci c’è la moschea di Bascarsija, dove i fedeli pregano su un terrazzo interno. Stuoli di ragazze col viso coperto che parlano al cellulare, ragazzi in jeans all’ultima moda, preti, imam e rabbini sono le tessere di un puzzle che, come a rispettare un disegno, trovavano il proprio senso come se fossero guidati dalla penna di uno scrittore. Anche questo è Sarajevo.

Poi c’è il Morica Han, antico caravanserraglio dove oggi c’è un delizioso caffè e una moltitudine di negozi. Sempre da Seraci è possibile arrivare alla Nuova Sinagoga, stupenda, nonché alla Chiesa ortodossa dall’altra parte della strada. Da Seraci si prosegue per Feradhija, cuore pulsante della città, passando per Piazza Izebegovic, anche se il vero nome ci pare fosse della liberazione ma poco importa, cambia poco. Il padre della patria,leader della maggioranza musulmana in Bosnia, il “Nonno” come veniva chiamato. Nella piazza, una delle scene più frequenti e singolari è vedere anziani signori giocare a scacchi con vecchi bossoli, residuati bellici. Non solo, c’è la Cattedrale cattolica degna di una visita ed un caffè di fianco dove vale la pena una sosta. Ci si rilassa, si guarda la gente, non si pensa. Poco prima c’è il luogo della strage per antonomasia. In uno stretto vialetto, civili inermi, in coda per il pane, furono uccisi da una granata. Proseguendo,si arriva alla Fiamma Eterna, sempre accesa in memoria delle vittime di tutte le guerre.

Siamo su Via Maresciallo Tito (Marsala Tita), in fondo alla quale vi è un a deliziosa moschea dove ci fermiamo a parlare con Farid, l’imam, giovanissimo. Tranquillo, convinto del proprio credo che ci accoglie come fratelli, anche se palesemente occidentali. Lo assecondiamo di buon grado. Piccolo particolare: la moschea, durante l’assedio, fu utilizzata dagli assedianti. I cecchini si appostavano sul minareto per sparare sui civili! Sulla strada potrete notare le cosiddette “Rose di Sarajevo”. Cosa sono??Buchi, semplici buchi ma procurati dagli obici e ricoperti con vernice rossa a somigliare una rosa!!Di necessità, virtù. Continuavamo a chiederci come fosse stato possibile che succedesse l’irrimediabile.

Torniamo indietro passando per il Ponte Latino, dove fu ucciso l’Arciduca e ci attardiamo sull’altra sponda del fiume,a Skenderija,dove si può ammirare il vecchio edificio delle poste e rilassarsi nei suoi magnifici giardini ben curati. L’indomani proseguiamo con un giro ad Ilidza, amena località di “villeggiatra”, acque termali ed un parco naturale da togliere il fiato dove facciamo il bagno con le pecore ad ammirarci perplesse. Sulla strada vediamo la sede del quotidiano locale distrutta. Per anni è stata un simbolo dell’accaduto.

Scorgiamo tram ridotti ad un cumulo di lamiere mentre ci dirigiamo verso il “Tunnel” che durante l’assedio ha rappresentato l’unico collegamento con la città. Dal Tunnel, costruito in realtà in una casa privata, sono passati civili, viveri, medicinali, feriti e perché no, anche soldati ed armi. L’autodifesa, lo spirito di sopravvivenza mentre dal cielo veniva giù di tutto e si tagliavano gli alberi per la legna da ardere. Anche questa è una particolarità: a Sarajevo ci sono pochissimi alberi!! C’è un piccolo museo. La maggior parte degli abitanti di Sarajevo è passata dal tunnel ma non amano parlarne. Si riaprono cicatrici ancora vive. Niente di particolare ma molto, molto significativo. Riesci a capire, a ricostruire!! Rientrando, visitiamo ciò che resta del Villaggio Olimpico dopodiché ci rechiamo con un taxi al Kosevo,una volta deputato al gioco più seguito al mondo, il calcio. Oggi un’immensa distesa di lapidi. 1992, è la data ricorrente.

Ultima tappa il Mausoleo dedicato ad Itzebegovic. In via Mustafe Beseskje è possibile ammirare splendidi palazzi in stile ottomano, un dedalo di viuzze che risalgono la collina, i segni evidenti della guerra.

Perché Sarajevo è questo, il presente ma sempre con un occhio vigile al passato. Ed ora alcuni consigli pratici:

Dormire

Hotel Saraj – Nevjestina,5 tel +387(0)33233500/239510 hotelsaraj@hotelsaraj.Com – I prezzi sono medi ma vi assicuriamo che ne vale davvero la pena. Pulizia, cortesia e tanta, tanta Sarajevo.

Mangiare

Dveri (vicinissimo alla Piazza dei Piccioni) o il To be or not to be (la particolarità di quest’ultimo è che durante la guerra, il not to be dell’insegna fu cancellato…C’era voglia di essere, esistere, non si ammetteva la negazione) dove potrete gustare la pita, il cevapcici (carne di agnello o vitello macinata cotta alla piastra), il bosanski lonac (stufato a base di cavolo e carne) o il più classico burek ripieno di patate o carne. Al Dveri la specialità è la polenta macedone, un po’ pesante ma assolutamente da non perdere. In ogni caso ci sono tantissimi locali dove potrete bere una birra fresca in mezzo ad una moltitudine di giovani che cercano di ricominciare chiudendo con il passato. Davvero una bella gioventù!

Trasporti

Questa è la nota dolente. Per arrivare a Sarajevo o si opta per un volo Maleev Airlines con scalo a Budapest (costo intorno ai 300, 350€) oppure per il più economico traghetto Jadrolinja (www.Jadrolinja.Com) con partenza da Ancona ogni giorno alle 21.00. Si arriva a Spalato e si utilizzano i collegamenti interni, efficienti ed economici ma è molto più stancante, soprattutto se il tempo a disposizione è poco. Per gli spostamenti in città, a piedi o in autobus. Se arrivate o ripartite da Sarajevo il Martedì o il Venerdì e troverete militari dappertutto… Tranquilli, non è successo nulla né si aspetta un Capo di Stato. Si tratta semplicemente dell’avvicendamento dei militari italiani e del vettovagliamento e sarete tra i pochi turisti presenti. Di conseguenza, le operazioni di ceck in e di imbarco saranno velocissime.

Valuta

L’euro è accettato dappertutto così come le principali carte di credito.

Prima di partire

Libri consigliati

Diario di Zlata, di Zlata Filippovic, BUR Sarajevo mon amour, di Dovan Divjak, Infinito edizioni Sappiano di sangue le mie parole, di Babsi Jones, Rizzoli (stupendo…) Il violoncellista di Sarajevo, di Steven Galloway, Mondadori Eloi, Eloi, di Allen Custovic, Mondadori Al di là del caos, di Elvira Mujcic, Infinito edizioni (da non perdere!!) Racconti di Sarajevo ed Il ponte sulla Drina, di Ivo Andric

Film consigliati

Resolution 819 – regia di Giacomo Battiato – Vincitore della 3° Edizione del Festival Internazionale del Film di Roma 2008. Diretto dal nostro Giacomo Battiato, il film porta sullo schermo la storia del peggior massacro avvenuto in Europa dalla fine della 2° Guerra Mondiale, quello di Srebenica del 1995. Una vera e propria pulizia etnica, con 8000 morti, 4000 dei quali mai ritrovati, annunciata e non impedita, se non indirettamente appoggiata dallo stesso Onu, osservatore passivo del massacro. Il titolo del film si rifà alla Risoluzione 819 delle Nazioni Unite, che garantiva all’enclave di Srebenica, in Bosnia, la sicurezza e la protezione delle popolazioni musulmane. Nel luglio del 1995 le truppe del Generale Mladic conquistano la zona protetta, compiendo in solo 4 giorni una strage. Donne, vecchi, bambini, uomini, tutti vengono uccisi e gettati in fosse comuni. Reati che rischiavano di non esser mai scoperti, se non fosse stato per un ufficiale di polizia francese che lascia il distintivo per proporsi come investigatore al Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia. E’ grazie ai suoi scritti e ai suoi resoconti se questa storia è uscita dal dimenticatoio, fino ad approdare in sala. Un tema delicato, trattato con coraggio e sapienza da Giacomo Battiato, che realizza un film quasi documentaristico, che cerca di rappresentare il dolore e l’incredulità di fronte alle testimonianze degli assassini, agli interrogatori, alla sconvolgente scoperta delle fosse comune, fino al processo finale. Un racconto storico, politico, un racconto interessato a portare agli occhi del grande pubblico una storia così poco conosciuta o comunque troppo facilmente dimenticata.

The Hunting Party – I cacciatori – Regia di Richard Shepard – 2007 Presentato fuori concorso alla 64ª Mostra del Cinema di Venezia, ispirato a un fatto di cronaca (tre reporter americani che si misero sulle tracce del criminale di guerra Karadzic nel 2000, cinque anni dopo la fine del conflitto) Il reporter televisivo Simon Hunt (Richard Gere) e l’operatore Duck (Terrence Howard) hanno lavorato insieme nelle zone di guerra più calde del mondo. Insieme hanno scansato pallottole, trasmesso articoli importanti e vinto premi Emmy. Ma un giorno terribile, in un villaggio bosniaco, tutto cambia. Durante una trasmissione in diretta su un canale nazionale, Simon ha un crollo. Da quel momento in poi, Duck continua a fare carriera mentre Simon scompare. Dopo cinque anni, Duck torna a Sarajevo per seguire il quinto anniversario della fine della guerra, ad accompagnarlo c’é Benjamin (Jesse Eisenberg), producer alle prime armi; quando Simon gli riappare davanti, come un fantasma del passato, convince Duck di essere a conoscenza del nascondiglio della “Volpe” il criminale di guerra più ricercato di Bosnia. Potrebbe essere lo scoop della vita, così, Simon, Duck e Benjamin si avventurano in una missione oscura e pericolosa che li porterà nel cuore del territorio nemico… http://it.Wikipedia.Org/wiki/The_Hunting_Party

Benvenuti a Sarajevo – Regia di Michael Winterbottom con Stephen Dillane, Woody Harrelson – 1997 Benvenuti a Sarajevo (titolo che fa riferimento ad una sarcastica scritta che si intravede su uno dei muri della città) è uno dei più aspri e crudi film sulla guerra jugoslava Sarajevo, 1992. E’ scoppiata la guerra civile che porterà alla disgregazione della Yugoslavia e la capitale della Bosnia-Erzegovina è assediata dalle truppe serbe. Un gruppo di giornalisti americani e inglesi gira per la città devastata filmando le scene più tragiche. Fra di loro c’è Henderson, un inviato della televisione britannica, che nel corso di un servizio su un orfanotrofio si prende a cuore la sorte di Emira, una bambina mussulmana di cui si ignora la sorte dei genitori. Quando una volontaria americana porta via dall’orfanotrofio i bambini più piccoli, Henderson fa entrare nel gruppo anche Emira, che porta con sé in Inghilterra inserendola nella propria famiglia. Dopo qualche tempo spunta la madre di Emira che rivendica la figlia ed Henderson torna a Sarajevo per incontrarla.

Il film prende le mosse da una vicenda personale (l’adozione da parte del giornalista Henderson della sventurata Emira) per esprimere una risentita denuncia di quello che considera l’atteggiamento di colpevole disinteresse e abbandono mostrato dall’Occidente e dall’Onu nei confronti del calvario della città di Sarajevo e dello sterminio condotto dai serbo-bosniaci che assediano la città. Quella che pochi anni prima era una normale metropoli europea che ospitava le Olimpiadi invernali (le immagini documentarie che aprono il film) e costituiva un esempio di pacifica convivenza fra etnie diverse si è trasformata in un inferno, dove i cecchini uccidono donne e bambini inermi. Ed è soprattutto sulla disperata sorte di quest’ultimi che si accentra l’attenzione del corrispondente britannico Henderson (che rimane da subito colpito dalla sconvolta fissità dello sguardo di un bambino vestito da chierichetto che insegue fra le macerie), tanto da indurlo a prendersi cura di un gruppo di orfani e di Emira in particolare. Ma il momento forse più straziante del film è quello in cui la disgraziata mamma di Emira, sentendo la figlia comunicare con lei in un’altra lingua, comprende di averla ormai persa per sempre e si fa simbolo della tragedia che ha colpito migliaia di famiglie bosniache.

Il segreto di Esma – Grbavica” – Regia di Jasmila Žbanić – 2005 Esma vive con sua figlia Sara nella Sarajevo postbellica. Sara non ha mai conosciuto suo padre ed è convinta che sia un eroe di guerra come il padre di Samir, un suo compagno cui è molto legata. Un giorno Sara torna a casa da scuola e chiede alla mamma se può partecipare ad una gita scolastica. Esma inizia a lavorare in un locale notturno per guadagnare i soldi necessari anche se la scuola ha emesso un’ordinanza per cui i figli degli eroi di guerra possono prendervi parte senza pagare. Quando la bimba scopre di non essere stata inclusa nella lista degli orfani comincia ad insistere per conoscere la verità sulla morte del padre… Senza voler (esplicitamente) parlare di guerra, Jasmila Žbanić racconta pochi momenti di una coppia madre-figlia nella Sarajevo di oggi: basta questo per portare lo spettatore in una realtà che assomiglia anche troppo alla sua quotidianità, ma che ha le sue radici nel conflitto.

Due cose colpiscono maggiormente lo spettatore di “Grbavica”: il dominio femminile dell’universo rappresentato, con gli uomini in ruoli fortemente negativi o semplici partner – occasionali – delle due protagoniste altro film al femminile; quanto ad Esma e Sara, la vera protagonista è la madre, anche se il film ruota maggiormente intorno alla figlia. In questa scelta risiede il principale significato del film, l’atteggiamento e i cambiamenti di Esma sulla base delle azioni di Sara, una sorta di azione e reazione nella quale il fattore dominante è costituito dalla ragazzina e l’oggetto analizzato è l’adulto. Il titolo è un omaggio a Sarajevo (Grbavica ne è un quartiere), simbolo di una nazione che vuole stringersi attorno a qualcosa ma sa che non deve essere la nazione stessa: ljubavi moja, amore mio, la frase con la quale si chiude il film può sembrare retorica, ma dopo una guerra non si può biasimare chi ha voglia di esprimere i propri sentimenti. In questo rapporto intimo tra regista e città non c’è il trasporto di un Woody Allen, ma l’unica vena di disperazione accennata nel film: è un amore catartico, una necessità per andare avanti, dopo un passato doloroso, aggrappandosi a un ideale.

Nuccio e Eliana



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