Viaggio verso Mostar

L'idea di visitare Mostar è nata dall'esigenza di trovare una alternativa al mare, per via di una allergia del bambino, e dalla curiosità di visitare una città simbolo della guerra bosniaca e per verificare questa polveriera islamica nel cuore dell'europa. Partiamo da Dubrovnik la mattina presto e ci dirigiamo sull'unica strada che porta a...
Scritto da: Fabio Vietri
viaggio verso mostar
L’idea di visitare Mostar è nata dall’esigenza di trovare una alternativa al mare, per via di una allergia del bambino, e dalla curiosità di visitare una città simbolo della guerra bosniaca e per verificare questa polveriera islamica nel cuore dell’europa.

Partiamo da Dubrovnik la mattina presto e ci dirigiamo sull’unica strada che porta a Split, dopo circa 60 minuti arriviamo alla prima dogana che neanche ci guarda e ci fa passare (quella che delimita la striscia di mare della Bosnia e che spezza in due la Croazia).

proseguiamo verso Split (Spalato) per poi girare in direzione di Metckovic classica città di frontiera. Qui la dogana è più seria, infatti c’è traffico, anche perchè la maggior parte di quelli che entravano erano italiani e tedeschi. I doganieri bosniaci non parlano italiano ( a differenza dei croati e jugoslavi-montenegrini) ma parlano bene il tedesco, quindi le storie che la bosnia era sotto il protettorato della Germania è vero, infatti hanno anche la loro vecchia moneta, il marco Bosniaco che vale ben 50 cent. 10 minuti per controllare i documenti e poi ci fanno passare, via verso Mostar. La prima cosa che notiamo però (da buoni italiani) è la benzina verde a 70 centesimi, quindi ne approfittiamo per fare il pieno.

Ci avevo detto i croati che le strade non erano buone, invece sono migliori delle loro, ben asfaltate e sufficentemente larghe ma soprattutto ben dritte (dopo un’ora e mezzo di curve croate).

La strada che porta a Mostar rappresenta una ferita nell’altopiano bosniaco, che trova la fine nella città. Scopriamo dopo che Mostar fa parte del cantone cattolico della Bosnia, quindi croato, infatti una volta entrati in bosnia continuavamo a vedere bandiere croate ovunque.

Arriviamo dopo circa 40 minuti nella città, preceduta da diverse fabbriche di alluminio. Da lontano è bellissimo, ma pian piano che ci avviciniamo iniziamo a vedere scheletri di abitazioni e palazzi bucherellati, beh come in croazia pensiamo, invece è tutto diverso. Ovunque poggiavi lo sgurdo vedevi case rovinate, e ce ne sono molte disabitate e pericolanti con grossi cartelli di pericolo (rigorosamente in tedesco). Parcheggiamo la macchina verso il centro ed iniziamo penetrare la città. Un vialetto prima stretto e poi via via sempre più largo è il preludio della zona centrale, ai bordi della strada si iniziano a vedere artigiani che vendono prodotti manufatturieri che rappresentano il ponte…

In sottofondo la musica è rigorosamente orientale, sembra di essere in turchia. Gli sguardi delle persone del posto sedute ai tavolini de bar a bere birra (dimenticavo che c’erano 40,5 gradi) sembrano non capire l’interesse che le persone possano travare in quel posto dimenticato da Dio.

Guardadoci in torno e osservando i vari negozietti arriviamo al ponte che con molta sorpresa stavano ricostruendo. Ma la sorpresa maggiore è leggere che quel ponte, dichiarato patrimonio dell’unesco, lo stavano ricostruendo con i soldi dello stato italiano affidato ad una ditta di firenze etc, anche se non per questo ci sembrava di essere più graditi degli altri.

Arriviamo al ponte, dicevo, e da un ponte di ferro ormeggiato di lato a quello crollato si possono osservare i progressi della costruzione, che in quel momento erano pari a zero, forse stavano per partire.

Dal ponte parallelo si può osservare lo spettacolo del fiume immerso in una natura incontaminata, ma purtroppo impercorribile a cusa delle mine che lo circondano…

Entriamo in una galleria che attraverso delle scale conduce alla parte islamica della città, aimè quella più disagiata e rovinata. Qui ogni abitazione e portone vecchio porta i segni della lotta, molte donne con il volto ed il corpo TUTTO COPERTO chiedevano l’elemosina. L’odore di sporcizia era un pò stomachevole, infatti stavamo per tornare indietro quando un gruppo di italiani ci disse che si poteva visitare una moschea più avanti. Armati di coraggio proseguiamo e notiamo dei tedeschi seduti su dei tavolini a mangiare incuranti del cattivo odore e dei bambini che li guardavano spiritati.

Arrivati alla moschea entriamo continuo a filmare e nessuno mi dice niente, mia moglie era vestita un pò leggerina (capirai 40 gradi) ma vedono che siamo silenziosi ed i capoccioni continuano a pregare. La cosa che colpisce è la pulizia (oltre a dei fusibili elettrici vecchi di almeno 60 anni). Il culto quindi va oltre ogni cosa, dei giardini curati alla perfezione, con una fontana e dei peci rossi dentro…

Stupeffatti ci rituffiamo nella via e fuori riceviamo qualche occhiata di lieve disprezzo da degli uomini che tanto per cambiare stavano seduti al solito baretto a fumare e bere birra…Incuranti torniamo indietro nella zona cattolica e decidiamo di fermarci a mangiare in un ristorante all’aperto in un giardino dove la cucina era ben visibile. Prendiamo il loro piatto nazionale che non ricordo come si chiama, fatto di salsiccia di maiale fritta e patate, di discreto gusto.

Dopo un paio d’ore decidiamo di tornare a casa, e mentre ci dirigiamo verso la macchina uno degli uomini che all’arrivo mi aveva guardato in una maniera strana mi chiama e dice “italiani?” rispondo di si e lui “Beh hai visto che bella città di merda?” io avrei voluto rispondergli che se invece di poltrire avesse dato il suo contributo insieme ai suoi amici, forse sarebbe stata veramente migliore, ma poi ho pensato che diritto ho io di dire a questa gente qualcosa? ed allora ho cercato di riderci su, complimentandomi perchè è una bella cittadina e che dovevano fare di tutto per risollevarla e ricostruirla, così da attire tanti turisti.

Di ritorno a casa vediamo la scritta Mejugore e decidiamo di andare a visitare il santuario. Percorriamo una strada meno comoda che ci fa risalire l’altopiano ed arriviamo al santuario dove la macchina ci dice che abbiamo raggiunto la temperatura di 44 gradi anche se il caldo è secco non umido, quindi con un pò d’ombra è sopportabile. Qui possiamo notare come la globalizzazione abbia raggiunto anche questo posto, alberghi, pizzerie, ristoranti italiani etc.

ritornando apprezziamo lo spettacolo della natura (interrotto solo da qualche carcassa di auto bruciata) vale a dire quel famoso altopiano ferito da una lunga valle nella quale si trova Mostar e proseguendo si va verso Sarajevo. Alla dogana troviamo un ragazzo simpatico, poverino simpatizzava per la juve e del piero. Impietositi per la sua innocenza lasciamo questa parte di bosnia pensando allo sguardo stranito di quei ragazzi fermi a quei bar a far nulla…(ma naturalmente a buoni italiani abbiamo rifatto il pieno alla macchina!!!!) Il giorno dopo siamo stati nella parte serba della Bosnia, a due passi da Dubrovnik, precisamente a Trebinje, una città di confine ben fatta, abbastanza pulita e udite udite l’unica cosa che siamo riusciti a mangiare è stata una pizza al piatto fatta da un serbo che era stato durante il periodo della guerra a Napoli. Oltre al cibo un altro problema era trovare dell’acqua minerale, si è rivelato tremendamente difficile paragonato alla semplicità del prodotto, per via della comunicazione, infatti nessuno parlava inglese o italiano (tranne il pizzaiolo).

Anche qui tornando a casa abbiamo avuto una parentesi di riflessione, in alcuni punti della strada c’erano delle face gialle con la scitta continua “attenzione pericolo mine”!!!!



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