Saudade do Brasil

Viaggio autorganizzato tra Rio de Janeiro e Salvador de Bahia alla scoperta di luoghi, incontri, realtà. Un viaggio di turismo responsabile per capire meglio la complessa realtà brasiliana, gli effetti di una crescita economica in espansione e delle profonde differenze sociali tra ricchi e poveri. Ma anche un viaggio di relax su spiagge tropicali
Scritto da: Andrea Mauri 1
saudade do brasil
Partenza il: 17/08/2011
Ritorno il: 07/09/2011
Viaggiatori: 4
Spesa: 3000 €
Siamo quattro amici e abbiamo deciso di passare le vacanze in Brasile. Non le solite vacanze da turista. Siamo alla ricerca di un contatto più vero con la terra brasiliana. Abbiamo prenotato un volo Iberia per Rio de Janeiro via Madrid. L’ attesa allo scalo spagnolo di Barajas è lunga per cui usciamo dall’aeroporto per cenare con il mio amico Josè e con altri spagnoli amici dei compagni di viaggio. Serata piacevole a Nuevos Ministerios in un caffè con cena a base di tapas e birra. Dopo cena torniamo di gran lena all’aeroporto.

Arriviamo finalmente a Rio. Prendiamo un taxi per andare al B&B prenotato su internet. Roberto, conducente del taxi, simpatico e chiacchierone, intrattiene discorsi sul Brasile e sull’Italia. In auto, la musica non può mancare. Primo impatto strada facendo con la periferia della città. Una favela è costruita con case in mattoni non terminate, trasmette subito un senso di precarietà. Il traffico è sostenuto. Ci sono due incidenti e cambiamo strada. Passiamo da quartieri residenziali ad altri più popolari. Si intravedono case coloniali, alcune abbandonate, altre restaurate. Tanta vegetazione rigogliosa. Il B&B è nel quartiere Lagoa. Ci si arriva per mezzo di una strada in salita e tortuosa. L’ingresso della casa è piuttosto anonimo, una porta in lamiera. Ci vive una coppia, lui Pedro,architetto, lei Monica, artista. Se la sono costruita da soli. Il giardino è alquanto incolto. La casa è su più livelli con ampie vetrate. Belle stanze con balcone con vista sulla Lagoa, uno spettacolo di giorno e di notte. La zona è tranquilla, anche se è un po’ scomodo raggiungere gli altri quartieri della città. L’architetto è timido, sua moglie sullo svampito. E’ una signora gentile e ci accompagna verso la parte bassa della via per indicarci dove sono gli autobus e i taxi. Insieme prendiamo il primo caffè brasiliano di buona qualità. Pomeriggio a Ipanema, sosta sulla spiaggia con bagno nell’oceano. Un po’ di sole e poi ci riposiamo all’ombra di un chiosco degustando agua de coco. Mi colpisce il fatto che la spiaggia sia frequentata nonostante in Brasile sia inverno. Ma le temperature lo permettono. Sulla spiaggia passano tanti venditori di bibite, di strani biscotti dalla consistenza simile al crack di gamberi dei ristoranti cinesi, di collanine e altri oggetti simili. I ragazzi giocano a pallone sulla riva, mentre i bagnini portano a buon fine dei salvataggi a causa della forte corrente del mare. Tanti ragazzi dai muscoli scolpiti, a Rio c’è il culto del corpo, sul lungomare sono posizionati degli attrezzi per allenarsi. Passeggiata al tramonto, incontriamo per caso un’amica italiana che stavamo cercando di contattare ed altri amici fotografi. Ancora una passeggiata sul lungomare per gustare la luce arancione del sole da un piccolo promontorio sull’estremità della spiaggia di Ipanema. Decidiamo di cenare in una churrascaria con viavai di pezzi di carne che da spiedoni enormi vengono adagiati nel piatto. Mi agita l’idea di ritrovarmi tanta carne tutta insieme da mangiare prima che si freddi, senza però ricordarmi dei nomi e dei gusti.

Gita alla foresta di Tijuca in macchina con amici. Lungo il percorso cascate, case coloniali, un luogo strano dove si svolgono i riti del candomblè. Resti di oggetti ovunque: cilindri, slip, statue di Cristo, candele, zucche, nastri colorati, bottiglie di birra e di altri liquori. Cerco di immaginare il luogo durante uno di questi riti nonostante la desolazione del posto pieno di pappatacei voraci. Cerchiamo di evitare l’ assalto degli insetti, fatica vana. Passeggio tra le rocce incastrate tra di loro alla scoperta di piccoli altari nascosti. Andiamo poi alla spiaggia di Barra, sosta pranzo e passeggiata sulla spiaggia. Prima della cena proviamo a vedere la samba a Praia Vermehla, ma troviamo un gruppo di ragazzi che festeggiano sulla spiaggia. Qualcuno improvvisa delle canzoni al microfono, ci sediamo al muretto ad aspettare ma non succede niente di particolare. Poi parte della musica dal pc e ancora una volta niente samba. Godo della vista della spiaggia incastonata tra il Pan di Zucchero e altre rocce. Anche se è buio, l’atmosfera è speciale, il mare placido. Si respira aria surreale. L’ora di cena è abbondantemente superata, andiamo nella zona di Urca a cercare un ristorante. Mangiamo alla Gaviota da Urca.

Visita al quartiere di Santa Teresa, quartiere arroccato su uno dei morros che circondano Rio. Case coloniali dai colori vivaci, il verde di piante rigogliose, strade acciottolate. Un tram aperto, chiamato bonde, attraversa il quartiere sferragliando verso la parte bassa delle città. E’ l’ultimo tram superstite di tanti altri che rappresentavano il mezzo di trasporto pubblico per eccellenza a Rio. Nella sua corsa verso il quartiere di Lapa passa sopra gli archi di un antico acquedotto e in quel punto preciso sembra di essere sospesi nel vuoto, mentre si corre verso i grattacieli e la piramide tronca della cattedrale metropolitana. Santa Teresa è anche piena di piccoli negozi e di ristoranti bohémien. Un cafè das letras chiuso fa pensare ai pomeriggi di letture e di sessioni di capoeira. Alcune decorazioni di azulejos rimandano alla Lisbona di un tempo. Poco più in basso si trova il Parque das Ruinas e il Museu da Chéaca do Ceu. Antica dimora di un nobile, di cui è rimasto solo lo scheletro, si può salire fino alla terrazza superiore da cui si gode il panorama sulla baia e verso le isole che la punteggiano. Il piccolo museo raccoglie una discreta collezione di quadri (Portinari, Matisse, Rousseau e alcuni pittori brasiliani), oltre a ricostruire l’atmosfera di un tempo in due sale, la sala da pranzo e la biblioteca. Pomeriggio in favela al Morro da Providencia. Ci andiamo con il gruppo di fotografi che abbiamo conosciuto. Non riusciamo a trovare un taxi che ci porti sin lì. Vari tentativi e rocambolesche soluzioni per telefonare e annunciare il nostro ritardo. Incontriamo un tassista gentile che ci accompagna fino alla piazza della favela. Il tassista ci racconta di avere amici italiani e la simpatia scatta immediatamente. Arriviamo finalmente all’appuntamento. La piazza principale della favela è costituita da un campo di calcio in cemento protetto da alte reti e tutt’intorno bar semplici e due negozi di generi alimentari. Un lato della piazza è occupato da quella che dovrebbe essere una balaustra per proteggere la vista sulla baia, ma sono semplicemente delle assi di legno inchiodate alla meno peggio lungo il perimetro. Musica ad alto volume si diffonde dai bar dei due angoli, gente seduta ai tavolini che beve birra, sguardo perso nel vuoto, si muovono a malapena al ritmo della musica. La novità di tante giornate simili la rappresentiamo noi perché appena ci vedono, ci scrutano con curiosità e apparente diffidenza. La nostra guida Mauricio, nato in quella favela, figlio di un narcotrafficante, ci garantisce di poterci muovere tranquillamente all’interno dell’abitato e ci consiglia quando non è il caso di fotografare. Iniziamo il giro salendo una ripida scalinata, degradata e sporca, che porta verso la parte alta della favela. Sugli scalini sono seduti dei ragazzi che fanno parte dei gruppi di trafficanti di droga. Qui non si può fotografare. In cima alla salita una chiesa dove ogni fine settimana arrivano le ragazze della missione evangelica a sistemare gli ambienti per la messa e a far giocare i bambini la domenica. Incontriamo due ragazze sorridenti, una brasiliana e l’altra portoghese, che ci spiegano dove vivono (in un collegio ai piedi della favela). In quello stesso slargo si trova la casa di Mauricio, casa amarela, perché dipinta di giallo, inconfondibile. Questa casa è diventata il punto di riferimento della favela. Mauricio è un fotografo. Gli è nata la passione vedendo una macchina fotografica di uno zio, poi nel tempo è riuscito egli stesso a comprarsi un apparecchio per scattare fotografie. Ha iniziato a fotografare i volti della favela, ha organizzato laboratori residenziali di fotografia, ha collaborato con un amico fotografo francese. Insieme hanno pubblicato un libro di scatti sulla favela e di ritratti della gente che vi abita. Quello che colpisce è che salendo verso la parte alta della favela le pareti delle case sono tappezzate da gigantografie di ritratti realizzati da Mauricio e dal fotografo francese. Perché? Ci siamo chiesti. In vista dei Mondiali del 2014 il governo di Rio ha deciso di abbattere la favela costruita a detta loro su una zona ad alto rischio. Al suo posto dovrebbe nascere una funicolare per salire fin su al morro per godere del panorama della città. A questo scopo i funzionari del comune sono andati nella favela una mattina, segnando con dei codici le case da abbattere. Non vi hanno trovato nessuno, visto che molti erano in giro per la città e quelle case sembravano disabitate. Mauricio allora ha avuto l’idea di affiggere sui muri di quelle stesse case dal destino segnato dei ritratti giganti di coloro che le abitano per dimostrare che dentro quelle abitazioni da abbattere c’è pur sempre la vita che scorre. Mauricio è diventato così un punto di riferimento della popolazione della favela e di lui hanno parlato i giornali. È stato anche pubblicato un libro a fumetti che racconta la sua storia. Figlio di un trafficante di droga, il padre non ha mai voluto che Mauricio continuasse sulla stessa strada. Attraverso l’amore paterno è riuscito a trasmettergli i valori che hanno aiutato Mauricio a riscattarsi da un destino segnato. L’infanzia di Mauricio non è stata facile. I bambini non volevano giocare con lui, anzi erano i genitori che non permettevano ai loro figli di avvicinarsi a Mauricio per paura della violenza e di una sorta di contaminazione con lo stile di vita dei narcotrafficanti. Mauricio poteva giocare solo con i figli degli altri criminali della favela. Ma per uno dei tanti paradossi della vita, proprio quei bambini che erano rimasti lontani dalla violenza hanno abbracciato da adulti la criminalità e molti sono morti in modo violento. Invece i figli dei trafficanti di droga, amici di Mauricio, come lui stesso, si sono salvati dalla violenza. Per Mauricio non è stato facile andare a trovare il padre in carcere, anche se per lui queste visite a volte si trasformavano in festa. Nelle prigioni di Rio le visite ai detenuti erano un momento di socialità e all’interno si organizzavano dei veri e propri momenti ludici. Durante il giro della favela tra vicoli strettissimi, case arroccate in precario equilibrio, spazi angusti, muri con mattoni a vista, la riservatezza inesistente, la convivenza forzata, il nugolo di bambini, i piccoli bar disseminati lungo le strade, Mauricio ci racconta che la violenza di un tempo è andata placandosi. Ora c’è un presidio di polizia, la cosiddetta “forza di pacificazione”, che tenta di controllare la situazione, ma che in realtà non ha intenzione di smantellare i traffici illeciti che costituiscono parte della vita in favela. I morti sono diminuiti rispetto al passato, gli equilibri tra i potenti sono diversi, chi traffica con la droga un tempo rappresentava l’autorità da rispettare, adesso puo` essere emarginato da nuove soluzioni criminali che si affacciano alla realtà. Nel complesso la polizia è meno corrotta, quindi una parvenza di legalità è garantita. Mauricio ci riporta al punto di partenza, orgoglioso di averci mostrato la realtà che gli appartiene da sempre. Lo ringraziamo, aiutiamo la sua associazione con i pochi mezzi a nostra disposizione e ci salutiamo con la speranza di avere un’altra occasione di incontro. Serata a Lapa, ristorante tipico carioca e caipirinha con musica dal vivo per riprenderci dalla toccante esperienza nella favela e per riflettere sulle tante sfaccettature della vita.

Mattinata a passeggio nel quartiere Centro di Rio. È domenica e tutto è deserto. La zona a vocazione commerciale sembra svuotata di ogni attività. Prima tappa alla chiesa di Nossa Senhora de la Candelaria, grande chiesona dalla facciata barocco-coloniale e dagli interni eccessivamente barocchi. Il soffitto alto è affrescato con scene della conquista portoghese. Il senso di grandezza mi toglie il respiro. Breve visita al Centro cultural Banco do Brasil, dove all’interno è ospitata un’interessante libreria, edificio a piú piani che termina su una cupola i cui vetri ricoperti di blu trasmettono pace e tranquillità. Per le strade del centro si alternano grattacieli claustrofobici a piccoli edifici coloniali vivacemente colorati, che restituiscono l’immagine di Rio nel passato. Non ci si sente molto sicuri a passeggiare per le vide deserte del quartiere. Una signora carioca ci avvicina e ci dice “cuidado”, attenzione. Noncuranti dell’avviso ricevuto, arriviamo alla Cattedrale metropolitana, costruita a foggia di cono tronco grigio cemento, un azzardo architettonico. All’interno vetrate colorateai quattro lati. L’insieme è opprimente, buio e non accogliente, comunque da vedere se non altro come uno dei simboli della città. Arriviamo a Praça Floriano, occupata su un lato dal Teatro Municipal con stucchi dorati in stile Opéra di Parigi. Nei pressi della piazza c’`e il Museo delle Belle Arti. Lo visitiamo e all’interno troviamo con sorpresa interessanti opere di pittori brasiliani dal XIX secolo all’arte contemporanea. Bei ritratti, alcune scene di vita popolari e storie di indigeni. Il tempo trascorre piacevolmente passeggiando nelle sale e ammirando quadri di Portinari, Depret, tra i piú conosciuti, ma anche pitture di italiani, rumeni, giapponesi e tedeschi, che sono rimasti in Brasile a svolgere l’attività artistica. Torniamo al B&B, salutiamo i nostri ospiti (Monica e Pedro) e andiamo alla stazione dei pullman con meta Paraty. La stazione degli autobus è molto moderna, il pullman che prendiamo nuovo e pulito. Dopo quattro ore di viaggio arriviamo a destinazione. Avevamo prenotato per telefono delle stanze in una pousada ma all’arrivo non erano ancora pronte. In fondo non ci piacevano nemmeno, forse è stata una fortuna. Ci mettiamo alla ricerca di un’alternativa. Finalmente troviamo un’antica casa coloniale in una delle tante strade acciottolate della città. Mi prendo la stanza in mansarda, in legno e con sei finestre tutte intorno. Chiudere le tende la sera ed aprirle al mattino mi fa sentire come se vivessi in un palazzo sontuoso. Paraty è un gioiello coloniale, case basse colorate di bianche con porte ed infissi blu, azzurro, giallo, rosso. La città è adagiata in una conca verso il mare, circondata da colline verdi, vegetazione rigogliosa e palme in quantità. Dalle finestre della mia stanza posso vedere i tetti costruiti in tegole delle altre abitazioni. In fondo, la baia e il mare calmo. Qualche barca a vela alla fonda. La sera dell’arrivo abbiamo cenato rapidamente perché si era fatto tardi per la ricerca della stanza. Dopo cena siamo andati alla festa della cachaça, liquore tipico brasiliano ricavato dalla fermentazione della canna da zucchero e utilizzato per la preparazione della bevanda nazionale, la caipirinha. La festa si svolge sotto un tendone che ospita diversi stand delle tante marche di liquore da degustare. Si esibisce un cantante popolare.

Giornata tranquilla passeggiando per le strade di Paraty. Sembra di fare un salto indietro nel tempo. Tante case graziose da vedere per immaginare come doveva svolgersi la vita al loro interno. Noleggiamo una barca a motore tutta colorata – la nostra è verde, ma ce ne sono di azzurre, rosa, arancioni, violette, rosse – per fare un giro di un paio d’ore nella baia alla scoperta delle spiagge e delle insenature nascoste tra la fitta vegetazione tropicale che arriva fino all’acqua. Siamo fortunati perché riusciamo a vedere i delfini e le tartarughe marine che fanno capolino dall’acqua con la testa e il guscio. Pomeriggio alla Casa della cultura per vedere un’esposizione di foto ritratti della gente del luogo, attraverso le quali è possibile ascoltare la storia e le storie che raccontano. Serata al caffè-ristorante Samua con musica brasiliana dal vivo di grande atmosfera. Passeggiata notturna per vie quasi deserte. Aleggia ovunque un’atmosfera irreale.

Gita in barca a Paraty. Il tempo si apre e la temperatura si è notevolmente alzata. Passiamo più di cinque ore tra isolette e insenature. Il nostro marinaio è simpatico, un uomo di poche parole, ma sa comunicare l’essenziale. Durante il giro incontriamo dei delfini nella baia. Confermo il mio stupore sulla vegetazione che arriva sino al mare. Avvicinandosi si può ascoltare il verso degli uccelli e degli altri animali che popolano la foresta. Durante una di queste soste vediamo delle scimmie attaccate ai rami degli alberi. Sono di taglio medio, il pelo tra il marrone chiaro e scuro. Il marinaio lancia pezzi di frutta su uno scoglio vicino per attirare l’attenzione delle scimmie. Non aspettiamo molto ed ecco gli animaletti scendere dai rami per prendere la frutta. I pezzi più piccoli li prendono con le mani e li portano sui rami, poi si mettono a mangiare tranquillamente. Gli altri, più grandi, li mangiano sul posto. Con il binocolo vediamo da vicino queste scimmie e scopriamo delle buffe smorfie che fanno mentre masticano il cibo. Ci spostiamo verso un’altra baia per fare il bagno, con la maschera esploro il fondale e ho la piacevole sorpresa di vedere delle stelle marine. Ancora una sosta in una piccola spiaggia e poi la rotta verso il ritorno. Il cielo si è coperto ed è di nuovo fresco. Arrivati al molo, sosta per uno snack e in giro per i negozietti del paese. Atmosfera piacevole con tanta musica che arriva ovunque. Serata in una trattoria tipica brasiliana e poi torniamo all’hotel. Il proprietario Ricardo ci intrattiene chiacchierando e poi prende la chitarra per suonare della musica brasiliana. Noi scambiamo il favore suonando e cantando dei classici della canzone italiana. Condividiamo del liquore di cachaça e dei dolcetti che abbiamo acquistato strada facendo. Esperienza di arricchimento sempre accompagnata dall’atmosfera irreale che si respira anche nella pousada.

Giornata di trasferimento, pullman da Paraty a Rio, poi volo per Salvador. Arriviamo al nostro alloggio Casa Encantada che è già buio. La stanza è spartana, mentre l’accoglienza è piacevole. Casa Encantada è gestita da una coppia di italiani che hanno iniziato come volontari, si sono innamorati del posto e ormai vivono lì da dieci anni. Dopo esserci sistemati ci incontriamo con loro per fare il programma dei prossimi giorni. L’idea di avere già un calendario predefinito mi soffoca, la sensazione subitanea che provo è quella di stare in un collegio. Ma presto prende il sopravvento la curiosità di sapere quello che succederà. Tra una chiacchiera e l’altra arriviamo all’ora di cena. Non ci allontaniamo molto, non possiamo arrivare a Salvador centro, distiamo da lì 27 km. Quindi facciamo due passi a piedi e andiamo in un ristorante di Itapua, molto buono e poi caipirinha in un baretto sulla spiaggia.

Visita al progetto Casa do Sol in uno dei sobborghi di Salvador. Ci andiamo in autobus. La gente del posto sale e scende dal mezzo, ci guarda con curiosità. Siamo un gruppo di una decina di persone, tutti gli ospiti della Casa Encantada e sicuramente diamo nell’occhio. Gli autoctoni non riescono a spiegarsi come mai un gruppo di turisti si trovi su un piccolo bus che collega le periferie senza arrivare ai posti turistici della città. La Casa do Sol nasce alla metà degli anni ’90 grazie al progetto di un prete altoatesino, Luis Leitner, e di un’italiana, Pina Rabbiosi, per aiutare i bambini che non hanno la possibilità di frequentare la scuola. Il progetto diventa presto il punto di riferimento per il piccolo quartiere di periferia. I bambini cominciano a frequentarlo, i volontari hanno iniziato a lavorare con loro e poi poco a poco hanno pensato di coinvolgere anche le famiglie dei bambini. Ciò ha permesso al progetto di crescere e di integrarsi nel tessuto sociale della comunità. Visitiamo gli spazi, la biblioteca, le aule, la cucina, la sala per le attività artistiche, la sala del silenzio per i momenti di riflessione. Il pomeriggio assistiamo a uno spettacolino organizzato dai bambini ed è subito una festa piena di voci, grida, poesia, danza e musica. E`bello vedere tanti bambini tutti insieme e i genitori, soprattutto mamme ma anche qualche papà, commuoversi nel vedere i loro figli esibirsi in pubblico. Dopo lo spettacolo e dopo aver salutato con gioia tutti i membri della Casa do Sol, andiamo al centro di Salvador. Tra il bus dalla favela fino a Itapua e l’attesa di un altro mezzo che ci porti fino al Pelourinho ci impieghiamo ben due ore di tragitto. Fino ad oggi non mi ero reso conto che siamo lontani dalla città e che con le distanze brasiliane i tempi si dilatano. Anche se stanchi della giornata, arriviamo al centro storico di Salvador. L’impatto con le luci della sera è suggestivo. Due piazze si susseguono, incorniciate da edifici coloniali e chiese barocche. Da lì partono diverse strade, in salita e in discesa, con pavimento acciottolato, altri edifici coloniali, alcuni restaurati altri in decadimento. Salta subito all’occhio la presenza massiccia della polizia. Le zone al di là degli incroci dove i militari sostano non possono essere percorse. Quindi si deve necessariamente rimanere nel recinto storico, quasi un’enclave che a lungo andare potrebbe provocare un senso di soffocamento. La visita notturna è stata rapida, tanto per prendere confidenza con i luoghi. Cogliamo l’occasione per vedere uno spettacolo in uno dei teatri del Pelourinho. Si esibisce il Balet Folclórico in danze tipiche che rievocano gli Orisha (divinità del sincretismo religioso), la cerimonia del fuoco, la roda de capoeira, il samba. Un’ora piacevole di uno spettacolo per niente turistico, anche se tutto il pubblico è inevitabilmente composto di stranieri. Ma le danze eseguite dal gruppo restituiscono la sensazione di essere genuine, quelle stesse danze che sarebbero eseguite in occasioni ufficiali di feste civili e religiose. Bei ballerini dai fisici perfetti e dalle movenze sinuose. Belle ballerine, più coperte e vestite nei costumi tipici, brave nel muoversi. Dopo questa giornata intensa rientriamo a Itapua in taxi e ceniamo in zona.

Qualche ora della mattina in spiaggia a Itapua verso il villaggio dei pescatori. Poche barchette ormeggiate in mare, in lontananza le onde dell’oceano che si infrangono sugli scogli, piano piano la marea avanza. Un po’di gente sulla spiaggia, famiglie insieme ai venditori di parei, di noccioline, di bibite. Delle ragazze vendono formaggio da grigliare sul posto. Conservano il cibo dentro vaschette di plastica trasparente, insieme a un piccolo braciere sul quale cucinano il formaggio. L’acqua del mare non è un granché. Proseguiamo la giornata a Salvador, di nuovo la trafila degli autobus. Una volta arrivati in centro, visitiamo la Cattedrale, cappelle barocche dorate, incastrate in una costruzione di pietra e stanze annesse al complesso religioso. Molto interessante la chiesa di San Francesco ricca di azulejos alle pareti dei due piani che compongono il convento. Un gioiello artistico di notevole spessore. Passeggiamo tra i vicoli del Pelourinho e le case coloniali color pastello e durante la camminata incontriamo piacevoli punti panoramici sulla baia, anche se la vista dall’alto non mi entusiasma eccessivamente dato che nella parte bassa della città ci sono parecchi edifici in rovina. Quello che prima rappresentava il cuore pulsante del commercio baiano, ora è in stato di abbandono. Le attività commerciali sono state spostate verso l’interno, dove sono stati costruiti nuovi centri commerciali alla maniera americana e di conseguenza l’antica parte della città dedicata agli affari, quella che costeggia la baia, è andata in malora. Nel Largo do Pelourinho si trova la Fondazione Jorge Amado, dedicata al grande scrittore brasiliano e cittadino di Salvador. Oggi pomeriggio (26 agosto) l’ingresso è gratuito perché si celebra il centenario della nascita dello scrittore. In una piccola sala si sta svolgendo una conferenza, mentre al piano superiore è organizzata l’esposizione di pannelli riproducenti le copertine dei romanzi più famosi di Amado. Continuiamo il giro per le stradine del Carmo, la cui via principale è fiancheggiata su entrambi i lati da edifici coloniali, alcuni restaurati altri da rimettere in piedi. Fino a quattro anni fa questo quartiere era molto frequentato. Per ragioni squisitamente politiche la zona è stata lasciata cadere in disgrazia e ora si vive un senso di insicurezza generalizzato. Arriviamo in una piazza con un’antica chiesa coloniale, banchetti ai lati dello slargo che vendono cibi tradizionali, come l’aracajé, una polpetta di fagioli e gamberetti, e bevande. Tante famiglie prendono il fresco e dagli amplificatori comincia a suonare musica da discoteca. Torniamo indietro sui nostri passi e andiamo a cercare un ristorante sul Cruzeiro de Sao Francisco con piatti tipici baiani. Bella vista sulla piazza principale, il Terreiro de Jesús. A cena ci raggiunge un amico di Dina, che di professione fa l’antiquario. Dopo cena, passeggiando per le vie del Pelourinho, ci offre da bere e ci mostra il suo negozio.

Completiamo la visita al centro storico di Salvador. Visita alla chiesa e al convento di San Francesco, la chiesa attigua a quella visitata ieri. Anche qui profusione di azulejos all’ingresso e nel chiostro. All’interno legni dorati a più strati e a più profondità garantiscono un colpo d’occhio veramente originale. È un barocco veramente unico, così lontano dal nostro modo di concepire questa corrente architettonica. In Brasile è espressione di opulenza e di magnificenza. Passeggiata al Mercado Modelo, edificio restaurato che oggi ospita il mercato dell’artigianato. Incontriamo per caso Fiorella Mannoia tra i negozi. Dopo aver dedicato il tempo alle spese, facciamo una sosta al ristorante del mercato. Lì si apre una bella terrazza sulla baia e affacciandosi sul balcone si possono vedere dei ragazzi che si tuffano dal molo. Tappa successiva alla chiesa di Nosso Senhor do Bonfim, che dista 8 km dal centro, edificata su una penisola. La chiesa è molto popolare perché conserva gli ex voto dei cittadini per le grazie ricevute. Oltre ai calchi delle parti del corpo affette da malattie e poi guarite per intervento del divino, che pendono dal soffitto, ci sono le foto di coloro che hanno ricevuto la grazia. Talvolta queste foto sono veramente crude, ritraggono gente intubata in ospedale o mostrano ferite disgustose. Alcune foto riproducono scene di vita familiare, ragazzi laureati con la divisa il giorno della discussione della tesi e relativo cartoncino preparato in occasione dell’evento. La particolarità della chiesa è che i fedeli indossano oppure offrono a Dio un nastrino colorato con la scritta ricordo di Bonfim. La cancellata d’ingresso della chiesa è piena di questi nastri colorati che si muovono al vento e l’effetto multicolore è suggestivo. Prima di entrare sono tanti i venditori che propongono di acquistare questo ricordo tipico di Salvador. Passeggiata sul lungomare di Barra. La spiaggia è piena di gente che gioca a pallone, chiacchiera, beve. Insomma c`è tanta vita nonostante il cielo nuvoloso. È sabato pomeriggio e così si passa il tempo libero durante il fine settimana. Lungo la passeggiata si incontrano tre fortezze, di cui una è stata adibita a faro. Il tramonto e la vista da quel punto è molto bella. Torniamo alla Casa Encantada perché abbiamo appuntamento con il gruppo per assistere a una cerimonia di candomblè in una casa di periferia. Il terreiro è il luogo adibito a questa cerimonia, derivato del sincretismo tra religione e divinità ultraterrene. Perché la cerimonia si svolga secondo i crismi sono imprescindibili gli elementi terra, piante, animali e acqua. Nel candomblè il contatto con gli elementi naturali è fondamentale. Il pai dos santos, sacerdote spirituale della cerimonia, dirige le azioni, coadiuvato dagli altri sacerdoti e da assistenti secondo una rigida gerarchia. Ogni azione è accompagnata dal ritmo incessante delle percussioni e dei canti. Il rito inizia con i saluti ai partecipanti e la purificazione del terreiro. Il gruppo di donne comincia a danzare in circolo. Sono vestite di bianco con gonne larghe e un turbante in testa alla maniera baiana. Gli uomini indossano tuniche più o meno sfarzose, secondo il ruolo rivestito all’interno del gruppo. Prima della cerimonia vera e propria, viene servito il cibo dentro grandi foglie di banano composto di pezzi di pollo, riso, farofa (farina di tapioca in grani), due tipi di fagioli, pop corn (cibo preferito della divinità rappresentata durante il rito, Omolu, protettore della salute). Si mangia rigorosamente con le mani mentre servono anche delle bevande fresche. Esaurito il rito del cibo, il gruppo di sacerdoti, sempre danzando, si dirige all’interno della sala centrale. Continuano le percussioni, entrano le due divinità principali rappresentate in costume. Tutti i partecipanti si alzano in piedi battendo le mani al ritmo dei tamburi. Da questo momento in poi inizia la fase, a mio avviso, più monotona del rito. È l’ora di permettere ai sacerdoti e ai presenti di entrare in contatto con la divinità attraverso la trance. Improvvisamente una parte del gruppo cerimoniale e alcune persone che assistono alla cerimonia perdono conoscenza. Alcuni rantolano, altri aprono gli occhi ma si vede soltanto il bianco della cornea. Tutti iniziano a ballare al ritmo della musica in un circolo perpetuo. Chi cade in trance viene liberato dagli oggetti che indossa e lasciato libero di danzare. Poi viene condotto verso una parte isolata del terreiro dove un sacerdote lo fa rientrare in sé. Gli altri continuano a ballare, sacerdotesse e sacerdoti in trance accompagnati dalle guide/assistenti che suggeriscono loro i movimenti e la direzione da seguire. A seconda del tipo di cerimonia, queste danze vanno avanti per ore, anche tutta la notte, fino alla mattina successiva. Il candomblè al quale abbiamo assistito viene svolto in uno dei dialetti africani in via d’estinzione.

Bella gita a Acupè, villaggio di pescatori nella zona interna di Salvador conosciuta come Reconcavo. Spostamento piacevole tra colline ondulate, alberi dalla folta chioma e palmeti, palme tante palme che si stagliano nell’azzurro del cielo. Attraversiamo diversi villaggi, case in muratura non terminate, baracche che funzionano come bar, gente seduta sugli scalini della propria abitazione, gente che beve birra e musica che suona da altoparlanti assai potenti. È domenica mattina, una domenica invernale per i baiani. Il sole splende, per noi caldo estivo. Con il pullman attraversiamo Santo Amaro, paese natale di Caetano Veloso e di sua sorella Maria Bethania. Non c’è nulla di straordinario che attiri la mia attenzione, almeno a uno sguardo superficiale di passaggio. La considerazione che facciamo con gli altri passeggeri è che molti personaggi diventano famosi anche perché lasciano questi luoghi che non offrono niente. Paradossalmente proprio il nulla di questi paesi rende celebre chi vi è nato ed è da questi villaggi che arriva la consacrazione degli illustri concittadini. Arriviamo a destinazione. Ad attenderci è un ragazzo di una cooperativa messa in piedi anche grazie all’aiuto degli italiani. All’interno vi si svolgono corsi di cucito, di artigianato, di abbigliamento. Li frequentano chi vuole imparare un nuovo mestiere e non avere come unica prospettiva quella di fare il pescatore per gli uomini, oppure di non lavorare affatto, come succede alle donne del villaggio. Il ragazzo ci fa da guida accompagnandoci a visitare i posti più significativi del piccolo centro abitato. Lungo le strade si incontrano cumuli di conchiglie di frutti di mare, pescati dagli abitanti, che vengono puliti per la cottura, i cui gusci vengono gettati per terra lasciando che si accumulino. Con questi stessi gusci gli abitanti del villaggio coprono le buche della strada. Alcune case sono immerse nella vegetazione, anche qui grandi palmeti che si lasciano ammirare per la loro bellezza. Musica dappertutto e un senso di leggerezza nel passeggiare per queste vie. La situazione nel villaggio non è certamente florida, gli abitanti si arrangiano con la pesca ma quello che guadagnano è certamente poco. I terreni intorno vengono venduti a lotti dai proprietari terrieri. A loro volta altri ricchi comprano quei terreni per edificarli. Parte della foresta presto potrebbe scomparire. Dall’alto della collina la vista è bella, ma fa tristezza pensare a questa soluzione della storia. Pomeriggio in canoa lungo il fiume fino all’imboccatura del mare. Siamo partiti con due piroghe attaccate, quattro rematori che sono i pescatori del villaggio. Abbiamo aspettato che la marea si alzasse per partire e riuscire ad arrivare dove l’acqua si fa un po’ più fonda. E’ incredibile vedere come la marea cresca rapidamente e avanzi verso la lingua più interna del fiume. Navigazione tra le mangrovie, gli aironi bianchi e cinerini, i granchi attaccati ai tronchi degli alberi. Bagno ristoratore nel fiume, quasi vicino al mare e poi altro giro tra le onde del mare che entrano e che schizzano acqua dentro la canoa. C’è un po’ di vento, si issano le vele, i rematori possono riposarsi, la sensazione di veleggiare è molto piacevole. Il cielo è azzurro, ormai si è completamente liberato da qualsiasi nuvola, il sole è più basso verso l’orizzonte ma emana un piacevole calore dopo il bagno che riscalda lentamente. Torniamo al porto, da lontano si sente la musica che viene da un baretto sul piccolo molo, qualche ombrellone, tavolini di plastica e i soliti altoparlanti che non possono mancare in Brasile

Giorni di saluti a Casa Encantada. L’esperienza mi è piaciuta molto, sento di aver ricevuto parecchio da quanto ho visto e ho sentito raccontare in questi giorni. Consueto scambio di indirizzi con gli altri encantados. Si parte per Boipeba, isola a largo della costa meridionale di Salvador. Arriviamo in macchina fino all’imbarco dei traghetti per l’isola. Il piccolo villaggio si chiama Graciosa. Più che di traghetti, si tratta di lance, piccole imbarcazioni che navigano lungo il canale fino al mare e all’isola. Bel tragitto di un’ora nelle acque fiancheggiate dalle mangrovie e dove all’improvviso si aprono piccole spiagge punteggiate dalle classiche palme da cartolina. Sbarchiamo sull’isola, posto incantato nel punto in cui le acque della laguna incontrano quelle del mare. A pochi minuti lungo un sentiero sabbioso troviamo la posada Horizonte Azul, gestita da Massimo, ex professore all’università di Padova che ha deciso di investire i propri risparmi nel turismo in Brasile. Il posto ce lo hanno consigliato quelli di Casa Encantada. Massimo devolve parte dei guadagni ai progetti di Maria e Loris. La pousada è completamente immersa in un giardino tropicale, le stanze sono curate e l’atmosfera che vi si respira è di relax e di aria sospesa. Dalla veranda della stanza si vedono i colibrì, oltre a piante dalle dimensioni enormi, alcuni alberi con le foglie a ventaglio, fiori rossi a calice, ibiscus. Non mancano altri animali che si aggirano nel giardino, gechi, ragni, serpenti. A piedi si arriva al villaggio costituito da un gruppo di case che si affacciano sul porto e un altro nucleo più all’interno. Qui c’è un grande spiazzo che funziona da campo di calcio e da sempre da qui partono tre strade dove si concentrano piccoli supermercati, ristoranti e qualche negozietto. Le case sono basse, alcune vie acciottolate, tutti vanno a piedi, le auto sono vietate sull’isola. Rientriamo verso il tardo pomeriggio, quasi buio lungo la spiaggia che porta alla pousada, ma c’è qualche luce. L’atmosfera è dolce e rassicurante.

Bel soggiorno di tre giorni a Boipeba. Isola che mi ha colpito e che mi è rimasta nel cuore. Piena di palme, spiagge lunghissime dove camminare con la marea che cresce e decresce in un moto perpetuo delle acque che al primo impatto agita, poi rassicura vista la puntualità del fenomeno. Massimo è un ospite molto attento, si può dire un uomo sereno dopo aver fatto questa scelta. Il pomeriggio è dedicato alla passeggiata al villaggio, ai supermercati e negozietti che sono aperti, anche se qui siamo fuori stagione e la presenza dei turisti è scarsa. Sul molo da dove partono le lance per la terraferma c’è un chiosco dove la gente del posto si ritrova per giocare a domino oppure per chiacchierare all’infinito. Mi affascina pensare che a Boipeba il sole è sempre caldo e l’inverno come lo conosciamo noi non arriva mai. Si cammina molto sull’isola, a tutte le ore. Passeggiate mattutine e pomeridiane sulla spiaggia, attraversamento di promontori per raggiungere le località più nascoste. Piccoli villaggi si aprono tra le baie, barche reclinate su un fianco aspettano l’alta marea per riprendere vita. Nell’attesa tutto è sospeso, la gente ciondola da un’abitazione all’altra, si siede sugli scalini di entrata delle case e osserva l’orizzonte. Dall’isola si possono raggiungere in barca le piscine naturali davanti la spiaggia di Maurerè, godibili con la bassa marea. In alcuni tratti si nuota con maschera e boccaglio per vedere la barriera corallina e i pesci che la abitano. In altri punti delle piscine naturali si cammina nell’acqua bassa e basta fermarsi qualche minuto per essere circondati da pesci di diverse dimensioni, corpo tigrato e coda gialla. Sono pesci curiosi, si avvicinano e con la piccola bocca vengono ad assaggiare le gambe per capire di che pasta siamo fatti. Sempre durante la bassa marea emergono banchi di sabbia in mezzo al mare sui quali la gente del posto monta bar improvvisati, fatti con quattro pali di bambù e foglie di palma come copertura, porta della frutta e bottiglie di liquori per preparare ogni tipo di bevanda, succhi o cocktail. Boipeba è anche fiume e mangrovie, acque più calme ma più torbide. Lì si possono incontrare bar galleggianti dove mangiare le ostriche. Quando arriva il momento di lasciare l’isola mi piange il cuore. Come ricordo ho comprato un braccialetto di corda fatto da un ragazzo del posto. Lo indosserò sempre per non dimenticare un posto di tanto fascino e per ricordarmi che sul nostro pianeta esistono ancora terre semplici dove il tempo della vita è regolato dal naturale susseguirsi del giorno e della notte. Notti tropicali fatte di cieli stellati e vento caldo che ti accompagnano nel tuo fantasticare.

Lascio Boipeba con grande malinconia. Non so se sto provando quel sentimento conosciuto in Brasile come saudade. Un misto tra malinconia, nostalgia, tristezza, intraducibile nella lingua italiana. Massimo ci accompagna fino al molo, dove ci aspetta la lancia per tornare sulla terraferma. Sono triste, l’isola mi è entrata nel cuore. Ripenso alla pace di Boipeba, alle lunghe passeggiate sulla spiaggia scandite dalle maree, alle palme infinite, uno spettacolo visto per la prima volta. Ricordo anche la gentilezza di Massimo, uomo mite, accogliente, un vero ospite. La barca si allontana, il tragitto verso Graciosa dura all’incirca un’ora. Durante questo intervallo di tempo riesco a calmare l’animo in subbuglio. All’attracco ci viene a prendere Giosuè, l’autista che ci accompagnerà a Salvador. Siccome ci fermiamo solo una notte in città, non torniamo alla Casa Encantada. Vogliamo dormire al Pelourinho per salutare la città. Durante il precedente soggiorno abbiamo individuato una pousada gestita da Fernanda. Anche lei italiana, trasferitasi a Salvador trent’anni fa e proprietaria della Pousada do Boqueirao da venti. L’alloggio si trova nel quartiere conosciuto come Carmo, lungo la via principale fiancheggiata da edifici coloniali. La stanza è sotto il tetto, all’ultimo piano delle due case che compongono la pousada. Nella mansarda piccole finestre danno sulla baia di Salvador, da dove si può ammirare lo spettacolo delle tante navi mercantili alla fonda in attesa di attraccare e scaricare le merci. Di sera le molteplici luci punteggiano il mare scuro. Una parte di questi punti luminosi sono ancora le navi che attraversano la baia, ma ci sono anche le luci della costa e dei villaggi che abitano l’isola di Itaparica, la principale isola in mezzo alla baia. Ammiriamo questo spettacolo mentre la mente vaga e con lei la fantasia di tante storie di città. Con un po’ di immaginazione si possono scorgere i marinai che arrivavano al porto e salivano al Pelourinho in cerca di avventure. Le case erano più malconce, le vie più buie. Si intravedono ombre attraversare le strade acciottolate del centro e sfuggire a qualsiasi tentativo di identificazione. È un vero peccato rimanere una notte sola nella pousada di Fernanda, se non altro per la splendida colazione che ci attende la mattina al risveglio. Una vera gioia per gli occhi e per il palato. Dolce e salato si mescolano con sapienza grazie ai prodotti preparati in casa, naturali e genuini. Fagottini salati, quiche, salumi, formaggi, torte, pasticcini, dolci tropicali, pani diversi, macedonia di frutta, succhi di gusti svariati. Un vero trionfo la tavola apparecchiata a buffet e altrettanto accoglienti i tavoli disposti sulla terrazza da cui ammirare ancora una volta la Baia di Salvador gustando prelibatezze preparate da mani sapienti. La colazione è accompagnata da una mattina di pioggia tropicale. L’acqua arriva dalle colline, scende fitta e ricopre la baia. Tutto sparisce, si vede solo un muro grigio. È piacevole assistere alla pioggia che cade sulle foglie delle palme e sulle altre piante tropicali fiorite. Una colazione che dovrebbe durare all’infinito. Tornando a Salvador, l’occasione è ghiotta per ripercorrere le strade del centro storico. Rimangono fuori dall’appello alcune chiese barocche, delle stradine in cui perdersi, fino ad arrivare a un caffè con tavolini di plastica gialla. Davanti all’ingresso del locale una batteria con due banchetti. Il cantante e il batterista suonano musica popolare brasiliana. Sicuramente le canzoni eseguite sono dei classici ,perché alcune famiglie sedute accanto a noi seguono il ritmo cantando le parole. Bravi i musicisti, bello il repertorio proposto. Ancora una volta l’atmosfera che si diffonde per le strade è affascinante, ti cattura, ti fa sognare e ti trasporta lontano. Come vivere senza musica in Brasile? Come si può immaginare una vita senza musica? La domanda mi frulla spesso nella testa durante questo viaggio. Prima di riunirci per l’appuntamento serale, passiamo davanti a un teatro dove è in programmazione uno spettacolo dedicato all’amore in tutte le sue forme. Il volantino parla anche di musica dal vivo. Anche se lo spettacolo è già iniziato da mezz’ora, decidiamo di entrare lo stesso. Siamo consapevoli del fatto che ci sfuggirà buona parte di quello che verrà raccontato, vista la nostra scarsa conoscenza del portoghese. Il teatro è decisamente piccolo, la scena anche. Gli attori sono ragazzi giovani, forse di una compagnia appena formatasi. La costruzione della storia è semplice, come pure la recitazione. Ma nell’insieme lo scorrere delle scene è godibile, l’esecuzione della musica piacevole. Il senso generale della narrazione è comprensibile, molti sono i gesti universalmente riconosciuti. Ciò che mi ha colpito è stato che alla fine dello spettacolo il pubblico si è alzato in piedi ad applaudire. Sarà abitudine oppure era per quell’occasione in particolare? Siccome era la prima rappresentazione (l’ho scoperto dopo rileggendo il volantino dello spettacolo) la compagnia ha offerto un rinfresco al bar del teatro con panini e piccole brioche e con bevande fresche analcoliche. Parte del pubblico si conosceva, forse erano amici dei giovani attori. Mi sentivo un pesce fuor d’acqua, anche se siamo stati invitati ad unirci al gruppo. Grandi sorrisi ma soprattutto da parte mia grande curiosità di vedere le dinamiche tra le persone in queste occasioni di incontro. Dopo la sublime colazione alla Pousada do Boiquerao, partenza per l’aeroporto con destinazione Rio de Janeiro. Due partenze consecutive sono troppo per me. Anche la mattina in cui lasciamo Salvador mi assale la nostalgia, perché capisco che la città e le altre zone che ho avuto la fortuna di conoscere mi sono entrate veramente nel cuore, mi hanno colpito oltre le aspettative. Cerco di reagire convincendomi del fatto che ritornerò presto anche a Salvador con l’idea di ripercorrere con lentezza le strade del Pelourinho, di godermi più a lungo la vista sulla baia, di tornare a Boipeba per respirare ancora il mare dei tropici e riempirmi gli occhi del cielo stellato delle notti fresche di brezza marina.

Arriviamo a Rio il pomeriggio tardi. Abbiamo cambiato B&B per non tornare nella casa di Monica e Pedro, un po’ troppo lontana e scomoda. Abbiamo scelto Copacabana e alloggiamo presso una signora che parla francese. Ha lo sguardo da matta, sembra allucinata. Ho la sensazione che Tania, la nostra ospite, voglia compensare la solitudine chiacchierando morbosamente con gli ospiti che arrivano da lei. Cerchiamo di non darle troppo spago. Passeggiata al tramonto sul lungomare di Copacabana e poi serata alla Feira Nordestina. Tanti stand di artigianato, cucina, musica e angoli dove ballare senza sosta. L’umanità che frequenta questa fiera è diversificata. Molta gente degli strati più poveri della società si ritrova qui il fine settimana per passare delle ore spensierate. La festa dura ininterrottamente dal venerdì sera alla domenica. Scorrono fiumi di alcool e i tanti ristoranti che si trovano all’interno si riempiono di avventori. Personaggi particolari si incontrano a ogni angolo. Coppie improbabili di ballerini si agitano sotto i numerosi palchi dove suonano il forrò, musica tipica del nord est del Brasile. Giovani e anziani, smilzi e grassi si muovono a ritmo di musica. Le ragazze indossano minigonne cortissime mettendo in evidenza sederi enormi. Scarpe a tacco alto color fucsia si mescolano alle ciabatte indossate dagli uomini, vestiti in canottiera e pantaloncini nonostante il fresco della sera. Status symbol del maschio medio è la catena al collo sul petto ben definito, indice di superiorità e supremazia sulla donna che gli sta accanto. Di vero e proprio artigianato ce n’è poco. Tanti negozi di musica dove non si trova la musica brasiliana dei grandi cantautori ma solo cd con copertine improponibili e foto dei cantanti che sembrano più dei santini che delle star della musica brasiliana. Si percepisce una disperazione diffusa tra questa gente, la povertà è palpabile, ma anche la voglia di riscatto che si manifesta attraverso riti collettivi di riconoscimento e di sostegno reciproco, come può essere la partecipazione a questa fiera.

Giornata intensa dedicata la mattina alla visita al Cristo Redentor do Corcovado. In cima alla statua che domina la città di Rio a braccia aperte si arriva con un trenino a cremagliera che parte dal quartiere Cosme Velho-Laranjeras. Ci sono parecchi turisti a fare la fila per acquistare il biglietto. Si può salire sul treno solo all’ora prestabilita e indicata sul biglietto, visto che la capienza dei vagoni è limitata. Il viaggio è piacevole mentre lentamente si sale attraverso la foresta di Tijuca. A tratti, improvvisamente, si aprono scorci sulla città sottostante. L’euforia generale è palpabile, buona parte dei passeggeri si alza in piedi per fotografare il panorama. La stessa euforia scoppia quando si incrociano un paio di volte i convogli che scendono alla base. Finalmente la stazione di arrivo e le scale da salire mentre alzando lo sguardo si può già ammirare il Cristo ormai veramente molto vicino. Inevitabile lo slalom tra negozi di souvenir e ristoranti. Ma la pazienza è ripagata arrivando sulla sommità del picco. La statua del Redentore si staglia nei suoi 70 metri di altezza. Non è una bella opera d’arte. E’ evidente che la maggior parte delle persone che sale sin qui, brasiliani e stranieri, vuole godere del panorama su Rio. In effetti lo spettacolo è incredibile, specialmente nelle giornate limpide, come quella che abbiamo trovato noi. Sole e cielo azzurro fanno da cornice alla baia carioca e ai tanti grattacieli che costeggiano le spiagge di Leblon, Ipanema e Copacabana. Ancora grattacieli intorno ai quartieri di Lapa, Botafogo, Urca e Centro. A Santa Teresa invece prevale il verde, ancora preservato da abitazioni basse di discrete dimensioni. Non ci si stanca di passare da una parte all’altra del camminamento che circonda il Cristo. Gli occhi si riempiono del bel panorama sui numerosi picchi, fitti di vegetazione, di cui è punteggiata la città. Pannelli esplicativi aiutano a orientarsi e a trovare i luoghi visitati nei giorni precedenti. C’è molta gente, arrivare al balcone finale da cui fare la foto è impresa ardua. Ma questa confusione non dà fastidio, anzi rende l’atmosfera piacevolmente festaiola e permette di far parte di un rito collettivo, anche questa volta fondamentale nella vita di Rio. Dopo il Corcovado tappa al Museu do Indio, a Botafogo. Piccolo museo su due livelli che racconta la storia di quattro tribù indigene del nord est del Brasile attraverso oggetti, fotografie e video. Il museo è ben attrezzato con pannelli interattivi, anche se manca la descrizione del contesto geografico e antropologico, oltre che storico degli indios. Comunque vale la pena visitarlo. Rapida puntata verso il tardo pomeriggio al mercato hippie di Ipanema, istituzione domenicale della città. Bancarelle di artigianato e abbigliamento circondano una delle piazze del quartiere e perdersi alla ricerca di qualcosa da comprare è un vero piacere. Non è un mercato turistico e oltre agli oggetti esposti è interessante vedere gli abitanti del luogo aggirarsi anche loro per la piazza con il piacere di passare qualche ora in libertà.

Giornata molto bella sulla spiaggia di Copacabana, sole pieno e cielo azzurro. Prima di stendersi sulla sabbia bianca e fina, passeggiamo fino al forte di Copacabana per curiosare sulla vita da spiaggia. Nonostante sia inverno in Brasile, al mare c’è parecchia gente. Il sole è caldo e la temperatura ottimale intorno ai 28 gradi. Mi chiedo che cosa facciano tutte queste persone in spiaggia, visto che è lunedì. Ci sono sicuramente pensionati, persone che svernano a Rio, sfaccendati, disoccupati, lavoratori su turni. Sono tante le risposte alla mia domanda. Parliamo con una signora argentina di una certa età che passa le vacanze in agosto a Rio. Ci viene da tanti anni e ha imparato il portoghese ascoltandolo. Tanti i ragazzi mulatti, muscolosi, attenti alla forma fisica. Molti di loro fanno gli esercizi sugli attrezzi di cui è dotato il lungomare, mentre una squadra di muscle beach, questa la scritta che si legge sulle magliette che indossano, lucidano alla perfezione il metallo degli attrezzi. Bagno tra le onde alte che si infrangono e arrivano a riva con forza. Ristoro dopo abbronzatura in uno dei chioschi sul lungomare bevendo agua de coco. Pomeriggio al Parque Lage, vicino ai quartieri Lapa e Jardìm Botanico. Punto verde della città molto interessante perché è costituito dalle ultime propaggini della mata atlantica, la foresta che abita il territorio di Rio e che arriva in città. Per questo Parque Lage è diverso dal nostro modo di pensare i parchi pubblici. Il verde selvaggio la fa da padrone, un’immersione decisamente piacevole nella vegetazione tropicale. Al suo interno si trova un piccolo acquario con alcune varietà di pesci tropicali e un laghetto con grandi carpe rosse. L’altro elemento di interesse del parco è la scuola di arti visive ospitata al suo interno. In un antico edificio con cortile e vasca centrale si aprono aule che ospitano lezioni di varie tecniche artistiche. Alunni dipingono su cavalletti posti intorno al cortile, sono spazi pubblici dove iniziare ad esprimersi e completare la propria opera. Il pomeriggio il caffè della scuola si anima di giovani che si incontrano per discutere delle loro esperienze, per navigare in internet o semplicemente per cenare in un posto piacevole. Serata con gli amici italiani che vivono a Rio. Scegliamo il quartiere di Lapa, dove anche di lunedì c’è un discreto movimento tra ristoranti e caffè che suonano musica dal vivo. E’ un piacere passeggiare lungo la via principale avenida Mem da Sé, ascoltando i ritmi che escono mescolati dai locali.

Il giorno successivo si visita Niteroi, uno dei quartieri di Rio dall’altra parte della baia. Da Praça XV Novembro si prende il traghetto che attraversa le due sponde della baia e si arriva a destinazione in appena venti minuti. La navigazione veloce è molto piacevole. L’attrazione più conosciuta di Niteroi è il museo di arte contemporanea. Progettato dall’architetto brasiliano Oscar Niemeyer a foggia di disco volante, il museo si affaccia su un bel tratto della costa. Sotto il disco è stata costruita una piscina con l’acqua che al primo sguardo si confonde con quella del mare all’orizzonte, mentre dai vetri scuri della struttura si riflettono i grattacieli e le spiagge poco distanti da lì. Eccezion fatta per il panorama e gli effetti costruiti ad arte, il resto del museo non offre niente di particolare. All’interno ci sono due piani di esposizioni temporanee di scarsa rilevanza artistica che si visitano rapidamente. Usciti dal museo, abbiamo fatto una passeggiata lungo la strada che costeggia il mare e dalla quale si può ammirare lo skyline di Rio dall’altra parte della riva dal quale spiccano il Pan di Zucchero, i quartieri Urca, Botafogo, Flamengo e Centro. La vista è molto bella da apprezzare lentamente. Si ritorna a Rio sempre in traghetto con le imbarcazioni piene di gente che utilizza questo mezzo per raggiungere la città. C’è ancora un po’ di tempo per visitare il quartiere commerciale di Centro con le sue viuzze piene di negozi. In alcuni angoli delle strade sorgono edifici coloniali come sempre dipinti con colori vivaci. Rendono l’idea della Rio storica prima della costruzione dei grattacieli. È piacevole immergersi tra la folla che cammina con affanno. Pausa goduta fino in fondo alla Confeitaria Colombo, attività commerciale storica di Rio della fine dell’800. L’interno è a due piani in stile liberty. Grandi vetrine mostrano ai clienti i prodotti dolci e salati preparati dalla casa e in vendita al pubblico. Specchi alti con cornice in legno sono montati tutt’intorno alla sala e conferiscono profondità all’ambiente. Il pavimento è decorato con mattonelle d’epoca a disegni geometrici bianchi e azzurri. Al piano superiore funziona il ristorante ed è delimitato dal resto dell’ambiente da una balaustra in legno. Lo sguardo sale verso il soffitto, la parte indubbiamente più bella di tutta la sala, realizzato da una grande vetrata sempre in stile liberty. A dire la verità tutto il locale è troppo buio, forse un po’ più di luce lo renderebbe ancora più di impatto. La cucina è buona e varia. La parte salata spazia da vari tipi di crocchette (ai gamberi, al formaggio, al pollo) ai pasteis (fagottini ripieni di pesce, carne, formaggi, mix di salato e frutta). Molto invitanti i dolci, belli da gustare con gli occhi e buoni per il palato. Succhi di frutta, bevande analcoliche e alcoliche tradizionali, oltre al caffè, cappuccino e thè completano il ventaglio delle proposte. Si potrebbe rimanere una pomeriggio intero in questa confiteiria. Ma siamo arrivati all’ultimo giorno del viaggio, in serata dobbiamo trovarci all’aeroporto di Rio per tornare prima a Madrid e poi a Roma. Il Brasile, o meglio quella piccola parte del Brasile che abbiamo avuto la fortuna di visitare, si è rivelato superiore alle aspettative. Sicuramente quello che mi rimarrà nel cuore è la simpatia e la cordialità dei brasiliani, il loro sorriso aperto e franco, sempre pronti a dirti una parola amichevole anche se non ci si è mai incontrati prima di allora. Il paesaggio è incredibile, il verde tropicale pure. Ti colpisce il rigoglio della vegetazione, la mata atlantica, i palmeti, le piante che crescono nella foresta. Non si possono dimenticare le differenze nette tra le città di Rio e Salvador de Bahia, l’anima bianca e quella nera del Brasile, i grattacieli in stile americano e le case colorate del Pelourinho, quelle restaurate e quelle in disfacimento. Da questi giorni trascorsi in Brasile ci si rende effettivamente conto di come questa nazione sia un continente, di quanto ci sia ancora da esplorare. Il desiderio che coltiviamo è quello di ritornare presto in Brasile, di scoprire nuove zone, di riprendere il contatto con la realtà brasiliana dal punto in cui è stato interrotto prima che i ricordi di questo viaggio svaniscano del tutto.



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