Bhutan, un viaggio avventuroso ed emozionante tra monasteri, antiche tradizioni e l’incontro con la regina

Alla scoperta del Regno del Drago Tonante, un piccolo ma straordinario regno medioevale buddhista, dove non esistono i semafori, è illegale l’acquisto di sigarette e al posto del Pil è in vigore l’indice di ‘Felicità interna lorda’
Scritto da: Uzbe
bhutan, un viaggio avventuroso ed emozionante tra monasteri, antiche tradizioni e l’incontro con la regina
Partenza il: 10/10/2016
Ritorno il: 19/10/2016
Viaggiatori: 10
Spesa: 4000 €
Il Bhutan è un piccolo angolo del mondo rimasto isolato tra le vette dell’Himalaya. Un minuscolo ma straordinario regno medioevale buddhista che si è aperto al mondo esterno da poco tempo e che, per il momento almeno, pur circondato dalle insidie della globalizzazione, riesce ancora a mantenere in vita le sue tradizioni e la sua identità culturale. Gli scenari naturali, i suggestivi paesaggi, la sua inconfondibile architettura che caratterizza ogni località grande e piccola, fanno di questo piccolo paese uno scrigno di incomparabile bellezza, permeato da un’atmosfera d’altri tempi, che ancora in pochi, anche per i costi e la non facile accessibilità, hanno avuto modo di avvicinare.

Il Regno del Drago Tonante è un piccolo stato (circa 730.000 persone in 47.000 km2) con scenari meravigliosi, punteggiati da antichi monasteri e maestosi dzong (fortezze con funzioni sia religiose, che amministrative), con una diffusa e sorprendente architettura buddhista integrata dalle tradizioni culturali e da spettacolari e colorate feste religiose. Senza contare che al posto del nostro Pil è in vigore l’indice di “Felicità interna lorda” elaborato dal Re e su cui sono basati i piani di sviluppo.

Partiamo in 10 con l’accompagnatore sul volo Venezia-Istanbul-Kathmandu. In Nepal il visto per il doppio ingresso, valido 15 giorni, costa 24 dollari, anziché i 45 indicati nel programma. Dopo una suntuosa colazione all’hotel Soaltee Crowne Plaza, che ci ospiterà anche al ritorno dal Bhutan, visitiamo la cittadina di Patan, che registra danni contenuti del terremoto ed ha conservato il suo fascino. Pranzo veloce e siamo nuovamente in aeroporto e ci imbarchiamo per il Bhutan. Nella discesa verso Paro l’aereo compie delle evoluzioni tra le montagne, lasciando intravvedere paesaggi spettacolari, verdi terrazzamenti e templi in posizioni ardite. Netto il contrasto con il Nepal sin dall’aeroporto pulito, in ordine e colorato. Veloce il rilascio del visto. Ad attenderci la guida e l’autista con il “gho” il costume tradizionale maschile e partenza per Thimphu, quando oramai è quasi buio. All’arrivo ci accolgono suoni diffusi per la festa domenicale con viavai di gente, in prevalenza giovani. Siamo stanchi e ci dirigiamo all’hotel Thimpu Tower con comode stanze, grande cortesia del personale e cena dai sapori piccanti che ci accompagnerà per tutto il viaggio.

Al risveglio il cielo è minaccioso. Per strada incrociamo studenti in divisa con ai polsi candidi manicotti ed il cestino del pranzo al seguito. Saliamo sulla collina dove stanno costruendo un tempio nel parco naturale Kuenselphodrang che domina la valle, dove svetta una statua dorata di Buddha Dordenma alta 51,5 metri, tra le più grandi al mondo, eretta per un’antica profezia risalente all’VIII° secolo, che si vede da molto lontano da ogni lato della vallata. Il tempio, con l’interno molto colorato, è terminato, mentre tutto intorno il cantiere è ancora aperto. Esce il sole. Scendiamo la collina e ci fermiamo al National Memorial Chorten, costruito e dedicato nel 1974 al re Jigme Dorji Wangchuck, tra gli edifici religiosi più importanti di Thimphu, dove molta gente gira attorno facendo roteare i rosari di preghiera. Partiamo per Punakha. La strada sale tortuosa fino al passo Dochu La (3140 msl). Ci sono 108 chorten, costruiti per commemorare le battaglie ai confini con l’Assan, avvolti nella nebbia. Un the caldo e qualche biscotto al bar del passo e iniziamo la discesa. La strada in fase di allargamento è molto fangosa e poco rassicurante. Non ci sono barriere e lo sguardo spazia adrenalinico su valli scenografiche, risaie a terrazza, templi, nuclei di case in stile bhutanese. Arrivati a valle, nei pressi del villaggio Sopsokha, con enormi e colorati falli dipinti sulle case ed esposti come souvenir nei negozi, una passeggiata tra i campi ci porta al tempio della fertilità Chimi Lhakhang, costruito nel 1499, accompagnati dalle bandiere di preghiera lungo l’ultima parte del percorso. Piccoli monaci giocano a calcio a piedi nudi con un pallone sgonfio. Il più piccolo, seppure impedito dalla lunga tonaca, si esibisce in un tiro niente male e segna. Mi passa davanti sorridente esclamando: “Balotelli, gol” e se ne va felice a far girare le ruote delle preghiere. Una giovane donna, con un grande fallo di legno in mano, compie dei giri rituali attorno al monastero quale auspicio di fertilità. Al ritorno nei campi incontriamo bambini sorridenti che ritornano da scuola e posano felici per le foto. Grande accoglienza al Green Resort di Punakha con canti tradizionali, lavaggio delle mani, drink di benvenuto e spettacolo folcloristico prima dell’ottima cena.

Partenza all’alba. La strada sale con bei paesaggi e incontriamo un gruppo di scimmie dal muso nero prima del passo Pele-La (3350 msl) sui Monti Neri. Piove. Lungo un fiume ci sono dei chorten ed uno stupa in stile nepalese nei pressi del resort Chendeyji dove pranziamo e riprendiamo la strada disastrosa in fase di allargamento, con pareti instabili da una parte e precipizi dall’altra. Il fondo stradale con la pioggia si è trasformato in un pantano melmoso. Quando incrociamo altri mezzi provenienti in senso opposto siamo costretti a manovre azzardate che fanno rabbrividire. Ad un certo punto, solo qualche minuto prima del nostro arrivo, una frana ha ostruito la carreggiata. Scendiamo dal pulmino e superiamo a piedi, impantanandoci, la frana mentre altri sassi piovono dal pendio soprastante. Autista, guida e accompagnatore liberano un angusto passaggio e con diverse manovre alquanto rischiose riescono a far passare il pulmino che ci raccoglie oltre la frana e proseguiamo l’inquietante avventura. Dall’altra parte della valle s’intravede nella nebbia il Trongsa Dzong, il più grande dzong fortezza del Bhutan. Scende il buio, la nebbia si fa più fitta, l’autista è un fenomeno e noi non vediamo nulla dai finestrini laterali e in un clima surreale raggiungiamo finalmente, con 4 ore di ritardo, il River Lodge, saltando ovviamente le visite in programma lungo il percorso. Siamo a 2580 m. e il lodge assomiglia ad un rifugio di montagna, tutto perlinato, con la stufa a legna in camera e il bagno gelido. Ceniamo ancora un po’ frastornati, ma siamo arrivati in Bumthang. Il ritorno su quella strada, l’unica, fra qualche giorno, già ci preoccupa.

Piove a catinelle. Visitiamo il Jakar Dzong, risalente al 1667, in posizione pittoresca sulla valle di Chokhor e assistiamo ad una suggestiva e coinvolgente cerimonia dei monaci salmodianti melodie con l’accompagnamento musicale di vari strumenti, tamburi, sonagli, trombe tibetane. Ci dirigiamo poi al Kenchogsum Lhakhang, il tempio dei 3 Buddha, del IX° secolo, distrutto da un incendio e ricostruito recentemente, molto colorato. Sempre sotto la pioggia che ci perseguita (meno male che ottobre è il periodo migliore per visitare il Bhutan) ci fiondiamo al Festival di Tamshing Phala Chhoepa, che si svolge nel monastero di Tamshing, costruito nel 1501 da Pema Lingpa, dove monaci e laici con variopinti costumi e maschere ispirate a divinità adirate o compassionevoli, eroi leggendari, demoni e animali, rappresentano tra storie e antiche leggende l’eterna lotta tra il bene ed il male. Un’occasione per entrare in contatto con la gente che nelle feste sfoggia i vestiti tradizionali delle grandi occasioni. Pranzo ottimo con accoglienza squisita in una casa tradizionale bhutanese restaurata nel Village Lodge. Altro passaggio al Festival per la cerimonia più importante della purificazione dell’ambiente con le maschere dei Berretti Neri. Visita quindi del Pema Sambhava Lhakhang, edificato nel 1490 da Pema Lingpa sul luogo di meditazione di Guru Rinpoche dove, nell’area religiosa, è in corso una cerimonia e nella parte nuova è consentito fotografare. Terminiamo le visite con il complesso di templi del Kurjey Lhakhang, che deve il proprio nome all’impronta (jey) del corpo (kur) di Guru Rimpoche. Il primo dei tre templi il Guru Lhakhang fu costruito nel 1652.

Uno sguardo dalla finestra: piove ancora. Con una passeggiata di 10 minuti e attraversando un ponte tibetano raggiungiamo il Prakhar Goemba, il tempio delle scimmie bianche, figura mitologica ed iniziamo la salita verso il passo Yotong La (3425) per lasciare il Bumthang. La strada verso Trongsa è al limite dell’impraticabilità e c’è la nebbia. Visitiamo il maestoso Trongsa Dzong, posto nella posizione più spettacolare del Bhutan, che risale al XVI° secolo, con numerosi padiglioni, ampie scalinate, cortili lastricati e tanti monaci che girano per i vari edifici. Il pranzo lungo il percorso è scadente e ulteriore tegola giunge notizia che una frana ha ostruito il percorso e tutti gli automezzi sono bloccati. Non si può proseguire e allora visitiamo l’interessante Royal Heritage Museum, il Museo della Torre, dedicato all’arte buddhista e alla storia della monarchia. Pernottiamo, percorrendo una strada impervia e superando una frana, al Puenzhi Guest House molto spazioso e confortevole, con una bella vista sul Trongsa Dzong.

Sveglia all’alba per recuperare tempo e partenza verso Punakha. Finalmente il cielo è sereno. Dopo 10 minuti siamo fermi: un fiume d’acqua sulla strada, cascate da tutte le parti, una grossa frana. In alto, a circa 20 metri, c’è un’abitazione che sporge sul pendio scivolato tutto a valle. Autista e guida deviano l’acqua a mano, togliendo i sassi e i detriti dalla carreggiata. Dopo un’ora arriva una ruspa che ci precede per oltre 1 km liberando altri tratti dai massi e chiudendo le buche. Proseguiamo solo per una manciata di km, fino al check-point dove la polizia ci blocca perché la strada (l’unica) è ostruita da una grossa frana. La riapertura pare sempre imminente, invece passano le ore e siamo sempre fermi. Andiamo a pranzo, piacevole, al Jankhel Resort con ottima vista sul Trongsa Dzong e punto di riferimento della polizia e degli addetti al cantiere che sta lavorando sulla strada. La tiritera dei rinvii si protrae sino a sera e alla fine, con l’assicurazione che si sarebbe ripartiti l’indomani mattina, ritorniamo con altri due gruppi di stranieri al Puenzhi Guest House per una mesta cena.

In attesa di notizie, visitiamo il Trongsa Dzong con il sole invece di passare la giornata fermi in coda. Il monastero-fortezza, circondato dai fiori, è una favola e tutto per noi e… i monaci. Vanta una ricca storia e risale al XVI° secolo. La situazione del rientro, però, si complica poiché le notizie sono sempre di massima incertezza, avvalorate da un turista italiano che incontriamo, tra i rari che hanno superato la frana la notte precedente. E’ passato a piedi con i sassi che cadevano dalla parete rocciosa, lasciando l’auto al di là della frana e proseguendo con un passaggio su un altro mezzo sino a valle. L’apertura della strada è durata solo qualche minuto e poi è stata richiusa. Si decide di programmare un volo charter dell’esigua flotta bhutanese prima di rimanere appiedati ed isolati. Dopo estenuanti trattative il tour operator (con l’adesione di un gruppo di americani) riesce ad ottenere la disponibilità di un Atr di 42 posti, che però per le condizioni climatiche e ambientali può volare solo con 22 passeggeri a bordo, per un volo dal Bumthang a Paro l’indomani pomeriggio. Si ritorna quindi in Bumthang ripassando per la terza volta il passo Yotong dove fa un bel freddo, e troviamo alloggio al Mountain Resort, nuovo, ancora da completare, accogliente, riscaldato, con la cena non esaltante. Durante la discesa, ragionando sulle reali possibilità, concordiamo il programma prima del volo e concentriamo le visite all’arrivo tra Paro e Thimphu, con Punakha che se ne va in fumo. Non sapendo, purtroppo, che altre sorprese negative erano in agguato.

Verificata la programmazione dei festival nei monasteri della zona, abbiamo almeno la fortunata coincidenza della festa al monastero di Thangbi Goemba, fondato nel 1470 da Shamar Rinpoche, con centinaia di persone che affluiscono da tutte le parti vestite con i costumi tradizionali. Il Thangbi Mani festival è una delle feste più popolari nella valle di Chhoekhor in Bumthang. Il clou della festa è la cerimonia di benedizione del fuoco (Mewang), eseguita in un terreno aperto. I monaci laici svolgono riti di purificazione, mentre la gente passa attraverso due pagliai in fiamme per purificarsi, in un clima di grande eccitazione collettiva. Seguono le danze in maschera nel cortile del monastero finalizzate a portare pace e prosperità e garantire un migliore raccolto per l’intera comunità.

Rinfrancati da questo colpo di fortuna, andiamo all’aeroporto, una casupola sul fondo valle tra i monti, ai margini di una pistarella. Ennesima sorpresa. Il volo noleggiato e pagato non c’è: i due precedenti voli di linea per cause ambientali sono in ritardo e dopo una certa ora per il vento, la visibilità e le montagne incombenti non decolla alcun aereo. Sconfortati, delusi e incavolati pranziamo al Village Lodge. Qualcuno esausto vorrebbe tornare il hotel, ma poi propendiamo per una visita al monastero Jampa-Lhakhang, pare costruito nel 659 dal re tibetano Songtsen Gampo, dove assistiamo a due emozionanti cerimonie religiose. Uscendo, all’imbrunire, c’è un po’ di fermento perché nell’attiguo tempio Kalachakra si trova la regina madre Sangay Chorden Wangchuck, che sta per uscire e visitare il monastero. Ci impongono di rimanere defilati e di non scattare foto. La regina, uscita dal tempio, dopo pochi passi verso il monastero, contrariamente alle attese dell’entourage, si è fermata davanti a noi, unici stranieri, ci ha sorriso e chiesto da dove venivamo, informandoci di aver visitato Venezia, Roma e Capri. Poi la guida ha spiegato a sua maestà le disavventure con la strada e l’aereo e Sangay ha dato l’interpretazione di un disegno divino a questi eventi, alle auto del suo seguito bloccate dalla frana e al nostro incontro. Le ho fatto notare che da 4 giorni eravamo bloccati e, al suo sorriso di rammarico per le nostre traversie, incrociandone lo sguardo, le ho chiesto a bruciapelo se potevamo fare una foto di gruppo con lei. Uno sguardo d’intesa con le guardie e la regina ha detto “Yes”. Un bodyguard ha preso la mia Nikon e scattato la foto. Thank you, Queen. Un sorriso, un saluto e via. Ritorniamo al Mountain Resort.

Al mattino ci dirigiamo con largo anticipo all’aeroporto per sincerarci della situazione. Non c’è nessuno. Apriamo noi il cancello chiuso con un giro di filo di ferro. Lasciamo il pick-up con i bagagli e in attesa andiamo al monastero Kenchogsum Lhakhang, il tempio dei 3 Buddha visitato qualche giorno prima con la pioggia, per fotografarlo con il sole. Ritorniamo in aeroporto e da bordo pista guardiamo speranzosi le montagne e finalmente compare il nostro Atr sfiorando la distesa di pini. Scende una sola passeggera che ha beneficiato nel nostro volo. Saliamo in fretta ansiosi di lasciare questa valle bella ma che cominciava a starci un po’ stretta. Un po’ d’ansia al decollo finché l’aereo prende quota sorvolando le montagne, con gole ardite, e poi sopra Punakha, Thimphu e atterriamo a Paro. Ci aspetta un nuovo pulmino, lunch-box per non perdere tempo e raggiungiamo tra verdi paesaggi terrazzati lo splendido Rinpung Dzong, l’esempio più interessante dell’architettura bhutanese, in bella posizione dominante sulla valle, sorto nel 1644 sulle fondamenta di un monastero fatto erigere da Guru Rimpoche, più volte utilizzato per difendere la valle dalle invasioni tibetane. Al termine puntiamo su Thimphu per un giretto di consolazione al National Memorial Chorten e poi al maestoso Trashi Chhoe Dzong, sede dei Ministeri, dell’Assemblea Nazionale e in periodo estivo dell’abate del Bhutan, dove però non ci fanno entrare e nemmeno assistere all’ammaina bandiera sino all’uscita dei burocrati dagli uffici governativi dello dzong. Si entra, quindi, quando è quasi buio, un vero peccato perché il complesso è maestoso. Visitiamo il tempio, e all’uscita si può godere della suggestiva illuminazione serale dello dzong. Ci fermiamo una manciata di minuti in un negozio di souvenir, prima del rientro a Paro, all’hotel Drukchen, una struttura in stile bhutanese all’esterno che non abbiamo potuto apprezzare per il buio all’arrivo e all’alzataccia, un po’ datato nelle camere, con menù nello standard locale.

Sveglia alle 5 per provare la prima parte della salita verso il Taktshang Goemba, il nido della tigre, per vederlo almeno da lontano, visto il poco tempo a disposizione prima del volo per Kathmandu. Arriviamo alla base e saliamo per circa 45 minuti. C’è la nebbia che poi si alza e seppure da molto lontano appare il monastero abbarbicato sulla roccia. Scendendo incontriamo i primi asini che portano i turisti partiti ad un’ora decente e con rammarico ci fiondiamo in aeroporto. La giornata è limpida e il posto finestrino consente di ammirare la catena dell’Himalaya ed una bella vista dell’Everest.

Un viaggio molto avventuroso che ci ha penalizzato nelle visite di una parte del Bhutan per il blocco della strada conseguente ai lavori in corso ma, vedendo il bicchiere mezzo pieno, ci ha anche consentito di visitare altri monasteri e conoscere più a fondo la regione del Bumthang, assistere al Thangbi Mani Festival, incontrare la regina madre e provare l’emozione del volo dal Bumthang a Paro.

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