Piccolo giro gastronomico di Bruxelles

(Nonsolocavoletti...) Per motivi di lavoro vado abbastanza spesso a Bruxelles, tanto che a forza di girarla mi è cominciata a piacere. Certo, il tempo è quel che è, specie in autunno ed inverno fa freddino ed è umido, la gente corre per strada così svelta che pare di stare a Milano, i giardini sono un po' troppo ordinati, i palazzoni...
Scritto da: lorecoll
piccolo giro gastronomico di bruxelles
(Nonsolocavoletti…) Per motivi di lavoro vado abbastanza spesso a Bruxelles, tanto che a forza di girarla mi è cominciata a piacere. Certo, il tempo è quel che è, specie in autunno ed inverno fa freddino ed è umido, la gente corre per strada così svelta che pare di stare a Milano, i giardini sono un po’ troppo ordinati, i palazzoni comunitari un po’ tristi: però Bruxelles è anche una città con molti monumenti, antiche vie ristrutturate con garbo, pareti dipinte con eleganti murales che si rifanno al mondo del fumetto (la scuola belga è particolarmente attiva e rinomata) ed una fauna umana multietnica e poliedrica: insomma, un insieme che fa della capitale d’Europa un posto molto interessante.

Per descrivere Bruxelles voglio prendere una strada un po’ particolare, passando per le esperienze gastronomiche che ho fatto in giro per la città: premetto che quando ci vado ho sempre a disposizione poco tempo ed ancor meno soldi e, quindi, chi si aspettasse descrizioni di ristoranti raffinati e di altissimo livello non può far altro che restare deluso e cambiare pagina. “L’ecologia si studia a tavola”, soleva affermare un mio ottimo professore ai tempi dell’Università che ho spesso preso a modello senza pentirmene mai. Mi lancio quindi nella mia descrizione di Bruxelles partendo dall’odore che avvolge i visitatori che scendono alla stazione ferroviaria della Gare Centrale e che non li abbandona più finché non lasciano il Belgio: quello degli onnipresenti waffeln. I waffeln, o wafer, sono una sorta di pizzette-biscottoni morbidi e quadrettati, parenti strette delle italianissime ferratelle e dei pizzilli abruzzesi, ma che contengono, ahimè, altissime percentuali di grassi esagerati tipo margarina o strutto. Composizione lipidica a parte, trovato uno degli innumerevoli chioschi che li vendono, bisogna prima scegliere la taglia (di Liegi, più piccolo ed ovale, o di Bruxelles, più squadrato ed ovviamente più grande), poi il condimento (di solito panna, cioccolata o marmellata di fragole) e poi via! la magia si compie. Il waffeln viene acchiappato al volo con delle pinze, riscaldato in una speciale piastra rovente tipo toast e poi cosparso ancor bollente con la salsa prescelta e con una spolverata di zucchero a velo. Un sogno di bomba calorica da mangiare al volo per strada, gradevolissima nelle serate fredde, eccezionale per appiccicare mani e faccia: consiglio di mangiarla nel negozietto vicino al Manneken Pis – la famosa statuetta di bronzo del bimbo che fa pipì – dove per l’equivalente di tre/quattro mila lire … ooops, un paio di Euro sorry, una simpatica ragazza vi ammannirà le deliziose cialde belle calde, tra i lampi del flash di decine e decine di turisti giapponesi, seriamente impegnati ad immortalare la suddetta statuetta sotto ogni possibile angolazione. La via in questione (Rue Stoof) è il trionfo del kitsch, strapiena com’è di negozietti che sfoggiano improbabili souvenirs di ogni sorta, dai merletti ungheresi agli accendini made in China. In compenso i waffeln sono eccellenti e tutti belgi.

Come secondo omaggio culinario al Paese a cui è dedicato questo reportage scelgo di decantare il piatto nazionale: “moules et frites”, ovvero cozze e patate fritte. Probabilmente i mitili di casa nostra sono più saporiti e con una faccia più colorita, ma anche quelli belgi sono decisamente gustosi se conditi con arte. A mio parere le cozze migliori sono quelle al vino bianco o al sedano, ma ce ne sono disponibili molti tipi: quando le ordinerete vi scodelleranno davanti almeno un chilo di molluschi in una sorta di pentolone bel caldo, traboccante di aromi e verdure tritate, con un brodino di fondo molto saporito ed un piattino di patate fritte di fianco, il tutto da accompagnare con una bella birra chiara alla spina (OK le locali Jupiter o Stella Artois). Dove assaggiare, dunque, questo sublime bugliolo di bivalvi? Da Leòn, ovviamente, il locale più rinomato di Bruxelles, con un’ambientazione un po’ all’antica e tanti, tanti turisti: se il posto è davvero troppo affollato (e lo è quasi sempre) si può comunque ripiegare in una delle decine di ristorantini che si aprono lungo la stessa viuzza tortuosa, meno famosi ma anche meno cari ed affollati. Nelle vicinanze si trovano anche tanti ristoranti spagnoli o di carattere mediterraneo (numerosi gli italiani, che non mi interessa certo provare) che espongono sontuosi banchi di pesce e verdure, destinati ad avvizzire rapidamente sotto i tanti caloriferi appesi all’aperto – visto che molti tavoli sono per strada, che la via è stretta ed il clima rigido, con questo curioso stratagemma si riscaldano un po’ gli avventori. Per inciso ricordo che questi ristoranti spagnoli o pseudotali, i cui dinamici camerieri richiamano i potenziali clienti con un arcobaleno di lingue e pantomime, esibiscono catini spettacolari pieni di paella, che non sarà proprio quella originale ma che certo cattura l’occhio e smuove l’appetito. Quasi quasi la prossima volta ci vado.

Per concludere con la cucina belga ricordo che nei giorni di festa, tra le bancarelle che espongono prodotti artigianali di ogni tipo, si possono trovare anche dei chioschetti che vendono cartocci fumanti pieni di zuppa di lumache: non so se il genere vi attira, però prima o poi io ho intenzione di provare. Ottimo anche il patè di fegato con cui sono solita appesantire le mie colazioni nel mio alberghetto preferito, mentre preferisco stendere un velo pietoso sulle tante tavole calde dell’Unione Europea, in particolare sulla mensa della Commissione a Rue de la Loi, dove recentemente ho avuto modo di gustare – si fa per dire – un hamburger vegetariano che aveva l’aspetto, l’odore, il sapore e la consistenza (e probabilmente anche la composizione) di una frittella di segatura… Per rifarmi la bocca passo ora al mio ristorantino preferito, il “Loto blu” (non ricordo se sta in Rue Violette o Rue Lombard) dove si può gustare dell’ottima cucina vietnamita. Si tratta di un grazioso fast-food, piccolo ed informale, sempre pieno di giovani, dove per venti-trentamila lire (per gli Euro c’è ancora tempo) si può gustare un’ottimo pasto cena, abbondante, gustoso e abbastanza dietetico. In un ambiente moderno e pulito si possono ordinare ottime zuppe di capelli d’angelo e pittoreschi secondi composti da pesce o carne e verdure, sistemati con garbo e dal gusto delicatissimo, accompagnati da riso aromatizzato con verdure e salsa di soia. Eccellente il maiale laccato: una sorpresa i bignè di lichee, delle specie di castagnole fritte con dentro dei frutti sciroppati. Nell’insieme è una cucina abbastanza vicina a quella cantonese, forse un po’ più dolce e delicata: nonostante quel che spesso si dice, nei piatti non mi è sembrato di trovare cane, almeno credo! Inoltre per gli estimatori del genere c’è anche una bella cameriera vietnamita, sempre indaffarata e che non dà molta corda, ma davvero efficiente e molto graziosa.

A proposito di cucina cinese, debbo dire che a Bruxelles i ristoranti cinesi sono un po’ più radi che nelle altre città europee (scarseggiano stranamente anche i messicani), mentre al contrario ci sono una marea di posticini tailandesi e vietnamiti. Per gli appassionati del Celeste Impero consiglio una visita al “Tè di Pechino”, ristorante bello ed elegante ma un pochino caro (almeno cinquantamila lire), dove in un’atmosfera rarefatta è d’uopo ordinare il menu fisso che comprende una serie di piatti cinesi classici (involtini primavera, risi vari, gamberi con verdure in agrodolce, ecc). L’ambiente è spazioso, con molte piante le immancabili vaschette d’acqua suggerite dal Feng Shi, un angolino di Oriente trapiantato nella frenetica capitale belga. E’ situato vicino alla Borsa, nel “quartiere cinese” : vicino ci sono un paio di grossi supermercati cinesi dove durante il giorno si possono comprare tutte le chincaglierie e le delicatezze alimentari che l’Oriente offre… a patto di non essere molto schizzinosi, visto che l’igiene in certi angoli mi è sembrata assai meno che sommaria: il banco frigo mi ha ricordato certi mercatini della Tailandia dove non sembrava mai essere passata un scopa o un ispettore d’igiene… Vivamente consigliato, quindi, l’acquisto di soli prodotti in scatola o in busta, ovviamente previo attento controllo delle scadenze.

Concludo la carrellata sull’est con un ristorante indiano, “King of India”, situato a metà altezza di Rue de Froissart e grazioso soprattutto d’estate, quando la temperatura mite consente di consumare il pranzo nel microscopico giardino, incassato tra i palazzi del retro. Un po’ più speziato dei precedenti, esibisce un buffet misto con una prevalenza di ingredienti quali pollo, patate, ceci e curry, quest’ultimo a tutta birra. Buono il “kulfi” al mango, una sorta di gelato leggermente farinoso. Il tutto nell’insieme è simpatico, ma un po’ più pesante da digerire rispetto ai menu finora descritti: in compenso i gestori sono particolarmente garbati e cordiali.

Non molto lontano dal ristorante indiano, in una viuzza che si affaccia su una piazzetta gremita di platani e di ristorantini in stile belga, ho avuto modo di deliziarmi un paio di volte con i pranzi svelti di “Pamukkale”, fast food gestito da tre fratelli turchi così somiglianti tra loro da sembrare fatti con lo stampino. Ambiente spartano, odore di fritto notevole ed invadente. Lì, tra vari spiedini e polpettine, fanno delle ottime “pitta-doner”, cioè delle sorte di piadine giganti farcite di pezzetti di carne alla piastra, insalate miste, patatine fritte e salse, che accompagnate dalla onnipresente birra vanno giù lisce come l’olio, per un costo totale di neanche diecimila lire… peccato per il fegato, che richiede un po’ di tempo per smaltire le specialità fritte ed untuose. Un bella passeggiatina nei numerosi viali alberati dei dintorni aiuta a riprendere quota.

Ma è ora di tornare alla Grand Place ed alla cucina mediterranea e presento, dunque, Rue de Marche aux Fromages, gradevole soprattutto durante l’estate, quando si trasforma in una sorta di unico ristorante greco all’aperto. Ancor di più che nei ristoranti spagnoli, la sera si assiste al simpatico spettacolo dei camerieri che chiamano la gente di passaggio, invitandola a mangiare. Ogni sistema è valido per adescare i potenziali clienti: saluti, battute, risate, applausi, confusione, sciorinamenti di menu in una babele di lingue, commenti sulle belle ragazze che passano. Mangiare qui è molto gradevole ed economico: le portate sono immortalate non solo sul menu ma anche su grosse foto a colori, che illustrano con dovizia di particolari composizione, nome e prezzo delle portate. In linea di massima si tratta di piatti unici elegantemente composti, la cui base è rappresentata da carni di vario tipo, insalate e patate fritte, con qualche tocco di feta e di verdure mediterranee: immancabile lo spiedone verticale del “giros”, dove fettine sovrapposte di carne ben condita vengono fatte arrostire piano piano e sfettucciate al momento dell’uso con un curioso rasoio elettrico di taglia extralarge. Come dessert la scelta è un po’ ridotta, ma la classica “baclava” (dolcetto di sfoglia con mandorle tritate ed immersione totale nello sciroppo di zucchero) conclude bene il pasto dei più golosi. In definitiva si mangia bene, si spende poco, non ci si appesantisce troppo e ci si diverte pure. Provare per credere! E per concludere in bellezza il mio piccolo giro gastronomico di Bruxelles, che non è completo né ha pretesa di esserlo, torno esattamente alla Grand Place, piazza sulla quale si affacciano le facciate di tanti palazzi in una mescolanza di stili tutta particolare, sulla quale predominano le bellissime guglie gotiche del Municipio. Per inciso la piazza è contornata da una serie di ristoranti e birrerie di ogni tipo e nazionalità, dove però non ritengo che sia molto conveniente mangiare in quanto il prezzo comprende anche il panorama. Ad ogni modo è indispensabile fare una sosta da Leonidas, un negozietto che appartiene ad catena di negozi che vendono eccezionali cioccolatini in una varietà incredibile (ci sono pure le praline per i diabetici e quelle verdi ripiene al gusto di passiflora). Uno spettacolo per l’occhio ed il palato, che ha pure l’indubbio pregio di costare in maniera ragionevole: inoltre le confezioni vengono composte al momento, secondo il peso e la qualità scelte dall’acquirente e con uno scarso ricorso alla carta, cosicché il peso acquistato è composto da cioccolato per oltre il 95%. Tante le persone in attesa, rapidamente smaltite da commesse svelte e un po’ glaciali. La visione delle vetrine di Leonidas, luccicanti e gremite di montagne di cioccolatini di ogni sorta, mi tormenterà a lungo nelle insonni notti di dieta… Con la bocca piacevolmente aromatizzata dal cioccolato, con gli occhi ancora pieni delle visioni di guglie ed antiche casette, con il naso intasato dall’aroma dolce e un po’ greve dei waffeln, raggiungo col trenino l’aeroporto e mi congedo dal Belgio. Quali avventure culinarie mi aspetteranno la prossima volta? Ristoranti tunisini che offrono cuscus all’agnello, fast-food nordici con pesce e salmone, localini tailandesi, trattorie africane, birrerie belghe, che altro ancora? Per adesso ancora non so: ma nella via dei greci ho adocchiato un certo fast-food libanese che mi sfizia ed incuriosisce non poco, forse la prossima volta, quasi quasi… Lorenza C.



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