L’isola perfetta

Mai e poi mai avremmo pensato che la meta delle nostre vacanze di quest’anno si sarebbe rivelata l’isola perfetta: Barbados! Dopo giorni e giorni su internet per cercare una destinazione convincente (anche leggendo i resoconti di viaggio di questo sito, sempre molto utili e ricchi di suggerimenti e indicazioni spassionate) siamo giunti alla...
Scritto da: crister
l'isola perfetta
Partenza il: 10/03/2007
Ritorno il: 18/03/2007
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 1000 €
Mai e poi mai avremmo pensato che la meta delle nostre vacanze di quest’anno si sarebbe rivelata l’isola perfetta: Barbados! Dopo giorni e giorni su internet per cercare una destinazione convincente (anche leggendo i resoconti di viaggio di questo sito, sempre molto utili e ricchi di suggerimenti e indicazioni spassionate) siamo giunti alla decisione che Barbados sarebbe stata l’isola giusta, anche se la fama che le Antille sono isole particolarmente care e non accessibili a tutti , ci spaventava. Ci siamo imbattuti, grazie al suggerimento di alcuni itinerari di viaggio, in un sito dove abbiamo prenotato l’appartamento, il trasferimento dall’aeroporto alla casa e ritorno e l’auto (un grazie particolare a Milena e Mark che sono stati preziosi, affidabili e seri professionisti). Il volo l’abbiamo acquistato su internet con una buona tariffa e siamo partiti il 10 Marzo da Verona con tappa a Londra per 1 notte. Abbiamo prenotato la notte presso l’Hotel Clarion di Gatwick alla tariffa di € 90.00. Pulito, carino e con un servizio navetta da/per l’aeroporto al costo di 3 sterline a corsa (non propriamente economico). La mattina successiva il volo era alle 11.00 e dopo una trasvolata di circa 8 ore 30 siamo atterrati all’aeroporto Grantley di Barbados per niente stanchi e con ancora qualche ora di luce davanti. La temperatura era ottima, 30 gradi e con una brezza leggera che non ci ha mai più abbandonato. In 10 minuti di taxi (condiviso con una coppia di Roma, che salutiamo e che come noi aveva optato per la scelta dell’appartamento dal sito di Mark e Milena) abbiamo raggiunto Enterprise, la località nei pressi di Oistins, dove si trovava la nostra casa e dove ci aspettava Mark per definire gli ultimi dettagli. Suite me too, il nome della casa, è la graziosa dependance della più grande ‘Suite me’, una casa in stile caraibico proprio di fronte alla bella spiaggia di Miami Beach e a 5 minuti a piedi da Oistins (località tipica e famosa per il mercato del pesce). Camera da letto con aria condizionata (che praticamente non abbiamo mai acceso grazie alla brezza leggera che ci ha accompagnati per tutta la vacanza), bagno con doccia, e sala con cucina a pianta aperta super accessoriata con microonde, frigorifero grande, freezer, tv dvd, vhs decoder per tv via cavo, cd e radio, asciugacapelli…Meglio di un grande albergo. Fuori, in giardino, un piccolo tavolo sotto un grande ombrellone, ospitava le nostre prime colazioni (sempre prestissimo, verso le 6.30) e, quando non volevamo uscire, le nostre cene a base di spaghetti.

La sorpresa è stata sapere che la Signora che viveva nella casa principale, la custode delle due case, ci faceva le pulizie tutti i giorni con cambio di asciugamani e federe dei cuscini. .

Le poche persone che avevamo incontrato fino a quel momento si erano dimostrate davvero gentili e carine e ciò faceva pensare ad un modo di fare comune ben disposto nei confronti dei turisti che, precisiamo, sono perlopiù inglesi e americani (per intenderci, italiani zero, a parte Cristina e Stefano, i ragazzi di Roma). La serata l’abbiamo passata a perlustrare la zona e per cena i chioschetti di Oistins sono stati un’ottima soluzione…Pesce fresco cucinato alla griglia, con riso, patate, insalatina. Ottimo.

La mattina successiva, alle ore 9.00 puntuale, la persona incaricata a portarci l’auto che avevamo prenotato dall’Italia entrava nel cancello della nostra casa…L’auto era una mini moke, una sorta di microscopica jeep, senza portiere e con tettuccio in plastica. Piccola e simpatica, puttosto vecchiotta, con le gomme ormai lise e senza servosterzo (non propriamente adatta alle condizioni delle strade di Barbados)se ci aggiungiamo la guida a sinistra e il cambio automatico…Col senno di poi avremmo preferito una piccola utilitaria “normale”. Il sole era già caldo, ma la nostra brezza e la totale assenza di umidità non facevano assolutamente pesare i 30 gradi già a quell’ora. La prima destinazione è stata Dover Beach, una spiaggia molto carina, sempre sulla costa sud, non distante da Oistins. Le spiagge dovrebbero essere segnalate con delle insegne bianche e blu, che indicano anche tutti i servizi presenti. Non sempre però (anzi, quasi mai, come del resto tutta la segnaletica stradale dell’isola) questi cartelli direzionali erano presenti e ciò comportava perdite di tempo per cercare gli accessi alle spiagge e i relativi parcheggi. Buona parte delle spiagge, salvo qualche spiaggia della costa est, sono ben organizzate, con guardaspiaggia stile baywatch, ombrelloni e sdraio (per la cronaca 2 lettini e 1 ombrellone a 10 dollari al giorno, …Come in Italia!), docce e toilette, bar e localini dove pranzare. Due cose ci hanno colpito quella prima mattina a Barbados: il traffico infernale, degno delle nostre tangenziali nell’orario di punta e l’elegante portamento e il fascino dei barbadiani che, forse grazie ai numerosi incroci con i coloni inglesi che hanno governato l’isola fino al 1965, li rendono una popolazione particolarmente bella. Anche la loro affabilità ci ha particolarmente impressionato; qui tutti ti salutano e incrociandoti per strada, ti augurano buona giornata…Ma dove siamo, su Marte? La mattinata è trascorsa all’insegna del sole e del mare, un mare non molto tranquillo, ma divertente, spumeggiante e con acqua calda e limpida (il fondale è praticamente nullo qui), Nel pomeriggio siamo andati a visitare la spiaggia di Carlisle, alle porte di Bridgetown, la capitale. Non particolarmente suggestiva a causa delle numerose imbarcazioni ancorate vicino a riva e alla brutale presenza dell’Hotel Hilton, con il suo edificio stile casermone anni 70, che guasta il panorama all’orizzonte. Alle 5 del pomeriggio, quando il sole cominciava a farsi meno rabbioso, una quantità enorme di Barbadiani ha affollato la spiaggia; lo sport era il loro comun denominatore: jogging, nuoto, ginnastica e palette da spiaggia, tutti molto attivi e concitati.

La serata l’abbiamo passata a casa, davanti a un piatto di ottimi spaghetti.

Abbiamo dedicato il martedì alla visita della costa ovest, famosa per il suo mare particolarmente tranquillo e per essere la parte più turistica, con i grandi resorts e una moltitudine di ricchi turisti inglesi e americani che li affollano. Ed effettivamente è stato proprio così. Abbiamo raggiunto Paynes bay dopo aver attraversato Bridgetown all’ora di punta (lì abbiamo odiato la nostra mini moke scoperta) e siamo arrivati alla spiaggia nervosi a causa della difficoltà a trovare il famoso cartello bianco e blu ce indicava la spiaggia ( attenzione, in realtà il cartello non c’è; ci sono solo dei cartelli uguali, più piccoli, con scritto public access e indicano un passaggio a piedi. Pertanto non cercate il parcheggio per questa spiaggia, bisogna arrangiarsi come si può (noi abbiamo chiesto al ristorante Dephne’s di lasciare la macchina nel loro piccolo parcheggio, pur non essendo clienti e loro hanno accettato di buon grado La spiaggia di Paynes è considerata una delle più belle dell’isola; a noi non ha particolarmente colpito, forse per la presenza di un gruppo di giovani addetti alla gestione della spiaggia e degli sport acquatici piuttosto rumorosi e non particolarmente educati. Obiettivamente il mare è molto bello, tranquillo e con una sabbia fine e di un colore particolare, giallo. Direttamente sulla spiaggia si affacciano bellissimi resorts a cinque stelle, e ville private stile Hollywood. Proprio di fronte alla spiaggia si dice ci sia un gruppo di tartarughe marine e numerosi catamarani attraccano proprio di fronte alla spiaggia scaricando flotte di turisti da ogni dove per vedere questo spettacolo naturale. La sottoscritta non ha visto proprio niente anche perché l’acqua non è estremamente limpida e il fondale si intravede a fatica. Una bella passeggiata sulla spiaggia ci ha condotti fino a Sandy Lane Bay (o perlomeno pensiamo che lo fosse), dove sorge lo splendido Hotel omonimo, forse il più bello dell’isola. L’ora di pranzo l’abbiamo trascorsa al Blue Monkey, un grazioso bar-ristorante proprio sulla spiaggia che serve ottimi hamburger con il flying fish a prezzi ‘italiani’.

Nel pomeriggio ci siamo trasferiti a Mullin’s Bay, una spiaggia poco più a nord. Anche qui non c’è parcheggio, pertanto parcheggiate un qualche vietta sulla destra della strada. Pure questa spiaggia fa parte della costa ovest e non è molto diversa da quella della mattina. Siamo rientrati a Enterprise che era ormai buio e ci siamo fermati al supermercato per la spesa. Il Supercentre si trova ad Oistins ed è un servitissimo e organizzatissimo supermercato dove si trova di tutto a prezzi normali, tranne certa frutta e verdura non tropicale, a prezzi proibitivi (ma del resto chi va a Barbados per mangiare le mele???!!). Per cena siamo tornati ai chioschetti di Oistins per un ottimo marlin alla griglia.

Il mercoledì è stato dedicato visita alla costa sud est. Dopo la colazione, cartina e guida alla mano, siamo partiti alla volta di Crane Beach. Dopo non poche difficoltà nel trovare la strada a causa della totale assenza di indicazioni stradali (consiglio: procuratevi una mappa stradale seria), siamo giunti finalmente alla spiaggia, ancora praticamente deserta. Uno spettacolo!! Si parcheggia l’auto lungo la stradina che porta agli scogli e si raggiunge la spiaggia scendendo dei gradoni nelle rocce. Ci si trova di fronte ad un panorama mozzafiato: una spiaggia di sabbia bianca, con alle spalle un fitto palmeto e incastonata tra due scogliere; quella di destra ospita sulla sua cima il Crane beach Hotel, uno storico albergo super lusso che comunica con la spiaggia grazie ad una ripida scalinata; a sinistra una splendida villa a picco sul mare. Di fronte un mare dai mille colori, agitato e rumoroso, ma non violento, che invita a viverlo con i suoi lunghi cavalloni spumeggianti. Stare lontani dall’acqua era davvero impossibile. Consiglio: l’unica possibilità per mangiare è il meraviglioso e per nulla economico ristorante del Crane Beach Hotel, pertanto, se non volete spendere uno sproposito dovete portarvi il pranzo al sacco. Per quanto riguarda le bevande, nessun problema, il gentilissimo signore che gestisce la spiaggia è fornitissimo e a prezzi moderati. A malincuore abbiamo lasciato la spiaggia a metà pomeriggio per raggiungere la vicina Bottom Bay, ma arrivati lì non c’è stato più nessun ripensamento: un paradiso…La classica spiaggia tropicale, con altissime palme da cocco direttamente sul mare e sabbia bianchissima. A differenza delle classiche spiaggie caraibiche dove il mare è una tavola piatta, a Bottom Bay il mare è una furia: onde alte e lunghe che si infrangono sulla riva e sui temerari (come noi) che le affrontano, ma è un vero spasso! Anche qui nessun bar o ristorante, solo qualche ragazzo rasta che, in cambio di 10 dollari, si arrampica sulla palma e raccoglie un cocco. A sole tramontato siamo rientrati a casa e abbiamo concluso la serata gustandoci la brezza della sera nel giardino. Giovedì: tour dell’isola. Con mille dubbi riguardo alle capacità della nostra mini moke di affrontare le piccole e sconnesse strade dell’interno dell’isola e all’incapacità della sottoscritta nel ruolo da copilota, ci siamo avventurati puntando verso est in direzione Batsheba, dopo la tappa obbligata alla pompa di benzina (che, peraltro, è davvero economica). Il paesaggio che ci si è presentato allontanandoci dal mare era degno di quello che stavamo lasciando: piantagioni di canna da zucchero a destra e a sinistra, ripide colline con palmeti e piccole chattel houses (le case mobili dei lavoratori delle piantagioni) coloratissime e simpatiche. Dopo mille deviazioni e e tensioni da parte del pilota, completamente abbandonato al proprio senso dell’orientamento, abbiamo raggiunto il piccolo e sonnolento villaggio di Batsheba, situato direttamente sul mare e raggiungibile attraversando una lussureggiante vegetazione che la avvolge e protegge. Il mare qui è impraticabile, se non da surfisti temerari. In compenso il paesaggio è davvero suggestivo. L’oceano si infrange su una scogliera che ha ormai assunto le forme più strane: grossi funghi o enormi biglie sono il frutto dell’erosione del mare e del vento. Lasciato questo posto magico (non prima di aver chiesto indicazioni ad almeno 4 gentilissime persone) abbiamo preso la strada costiera verso nord per raggiungere il Morgan Lewis Mill, l’ultimo mulino a vento ancora intatto che un tempo serviva per la lavorazione della canna da zucchero. Alle spalle di questo e salendo sulla collina Cherry tree hill, dalla cui cima si gode un panorama unico della costa si raggiunge un bosco di mogani dal quale parte la strada che conduce a St. Nicholas Abbey. Non si tratta di una chiesa, bensì di una splendida casa coloniale,oggi museo, tipica delle piantagioni caraibilche, che risale al 1650. Intorno alla magione, distese di canna da zucchero mosse dalla brezza che arriva dal mare. Dopo il pranzo al sacco siamo ripartiti verso nord. Ci siamo prima fermati a River Bay, una piccola baia con acque tranquille, grazie ad un’insenatura che ferma la furia del mare…Una piccola sardegna. Finalmente si raggiunge ‘north point’ il punto più estremo dell’isola dove mar dei carabi e oceano atlantico si incontrano e scontrano scatenando tutta la loro rabbia contro le alte scogliere. Il punto panoramico è davvero suggestivo: una serie di panchine belvedere direttamente a picco sul mare offrono uno spettacolo naturale unico. Nei pressi del parcheggio qualche piccola bottega propone i suoi souvenir, niente di speciale a parte quella di una ragazza che crea e dipinge oggetti di creta molto carini a prezzi però non propriamente modici, ma vale la pena curiosare all’interno, anche perché lì abbiamo trovato gli unici souvenir originali. Il ritorno è stato senza soste (anche un minimo accenno ad una possibile deviazione avrebbe scatenato un vero ammutinamento da parte del pilota) e così, rientrati a casa verso il tardo pomeriggio ci siamo fermati per un bagno ad Accra beach, sempre sulla costa sud, ma nulla di speciale.

Venerdì dedicato al relax. Siamo tornati alla Spiaggia di Dover per trascorrere la nostra giornata all’insegna della tintarella. Alla sera ci aspettava la famosa festa del pesce di Oistins, che raduna turisti e Bajans da ogni angolo dell’isola. I sonnacchiosi chioschetti che avevano ospitato le nostre cene durante la settimana si sono trasformati, per l’occasione, in affollati veri e propri ristoranti, con angoli bar e grossi barbecue su cui veniva sfoggiato il pescato del giorno. Musica reggae e calipso a tutto volume fuoriusciva da un furgoncino adibito a console e sapientemente manovrata da un dj rasta che ha anche dedicato una canzone ai suoi amici italiani (noi!!!!). Bell’atmosfera, otimo pesce, buona musica e tanta tanta gente, un miscuglio di razze e di lingue, un caleidoscopio di colori, profumi e sapori!!! Miami beach, la spiaggia davanti a casa, l’abbiamo lasciata per il sabato, ultimo giorno della nostra breve vacanza. Abbiamo depositato l’auto in giardino e ci siamo diretti a piedi nella bella, grande e molto ‘bajan’. Una fitta pineta marina fa da grande ombrellone e sotto la sua grande ombra accoglie, soprattutto nei week-end i numerosi barbadiani che trascorrono una giornata di festa sulla spiaggia con pic-nic. Il mare è bellissimo, la brezza unica e la nostalgia comincia a prenderci… L’ultima sera l’abbiamo trascorso a St. Lawrence Gap, una vivace località nelle vicinanze di Oistins, ricca di locali, ristoranti, bar di ogni genere (una Riccione in miniatura). Abbiamo cenato al The Ship’s inn, uno dei ristoranti più conosciuti dell’isola. Un’ottima cena, tutta a base di pesce e con circa 45 dollari americani in 2 (a proposito, la moneta è il dollaro barbadiano che vale ½ dollaro americano, altrettanto accettato).

La domenica mattina, tra valigie, ultimi bagni a Miami beach e ultimo sole, è passata velocissima e alle 14.30 ci aspettava il taxi per portarci in aeroporto. Tutto il resto è semplice:volo fino a Londra e poi di nuovo a Verona, tra neve, pioggia e freddo…Una vera tristezza.



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