Uganda e Rwanda: l’Africa dei miei sogni

Itinerario da Entebbe a Kigali, lungo la Rift Valley occidentale, alla scoperta di un altro meraviglioso angolo d'Africa
Scritto da: gianni maasai
uganda e rwanda: l'africa dei miei sogni
Partenza il: 12/03/2015
Ritorno il: 25/03/2015
Viaggiatori: 4
Spesa: 4000 €
Lo avevamo in serbo da 2 anni e finalmente a marzo 2015 siamo riusciti a realizzarlo: un viaggio attraverso l’Uganda e il Rwanda, nell’Africa delle foreste, lungo il ramo occidentale della Rift Valley, una regione su cui avevo letto tanto, da Burton a Speke, all’epopea del Duca degli Abruzzi sul Rwenzori.

Lo avevamo rimandato per vari motivi, non da ultimo perché si tratta di un viaggio caro, più caro dei già cari safari in Africa. Andandoci, ti rendi conto, in parte, del perché: qui ci sono molti meno turisti che in Kenya, Namibia e Tanzania (paese quest’ultimo dove abbiamo lasciato un pezzo di cuore nel 2013 e dove sicuramente torneremo), qui il numero dei visitatori gira attorno al numero di permessi gorilla disponibili ogni giorno, l’offerta di lodges e strutture è più limitata che altrove; il solo permesso gorilla nel Volcanoes National Park rwandese costa 750 dollari a persona per una sola visita, ma – posso affermarlo fermamente – li vale tutti, sia per l’esperienza unica e inimitabile, sia perché è una cifra indispensabile alla tutela degli ultimi esemplari di gorilla di montagna. Per la nostra quarta volta in terra africana ci siamo rivolti al tour operator Harmattan (www.harmattan.it), una piccola realtà poco conosciuta, ma estremamente ferrata su itinerari particolari in Africa. Hanno sede a Mogliano, sulla strada che va da Venezia a Treviso. Li ho trovati in internet e dopo un paio di telefonate siamo andati a trovarli nel loro ufficio che è una via di mezzo tra un museo e un bazaar: canoe (vere, lunghe 3 metri!) dal Madagascar, macine, asce e punte di freccia neolitiche dal Sahara, monili e collane dall’Africa nera, meravigliose foto alle pareti, un disordine che sa di allegria e genialità. L’entusiasmo è palpabile, presto si capisce che si ha a che fare non con chi vende senza sapere, come spesso accade in agenzia, ma con chi sa perché ha svolto quell’itinerario decine di volte e conosce i paesi che propone come le sue tasche. Dopo vari incontri, e-mail e telefonate siamo giunti a definire il nostro itinerario in 14 giorni: è nato un viaggio meraviglioso, organizzato con cura, un’esperienza forte, indimenticabile.

12 MARZO

Come ormai è consuetudine partiamo in 4 (i soliti…), da Venezia, nel pomeriggio per Roma, arriviamo a Fiumicino dove bisogna attendere un bel po’ il volo notturno per Addis Abeba.

13 MARZO

Ormai abbiamo familiarità con quest’aeroporto, ci siamo già passati per il nostro safari in Tanzania 2 anni fa. Giunti ad Addis proseguiamo per Entebbe, dove arriviamo in tarda mattinata. Prima dell’atterraggio si sorvola l’immenso Lago Victoria, il bacino lacustre più grande del continente africano e uno dei più grandi del mondo: è punteggiato da una miriade di isole e isolette verdissime, ricoperte da una fitta vegetazione. All’arrivo compiliamo rapidamente il modulo per il visto che si ottiene all’arrivo senza difficoltà. Usciamo e ad attenderci c’è David, la nostra guida in questa nuova avventura. Alla vista del Toyota Land Cruiser l’emozione è forte, siamo davvero in Africa, siamo di nuovo in safari! L’auto è praticamente la stessa che abbiamo utilizzato per il nostro safari in Tanzania del 2013, un Toyota Land Cruiser passo lungo, con tetto apribile tipo “pop up roof”. Per guadagnare tempo abbiamo deciso di non fermarci a Entebbe né a Kampala, ma di procedere già in direzione del Parco Murchison Falls fermandoci a Masindi, lungo il percorso ma già vicini al parco. Ci fermiamo lungo le sponde del lago Victoria per vederlo, toccarlo e bere un drink prima di imboccare la strada che ci condurrà a destinazione, ma… prima bisogna attraversare Kampala! La strada costeggia all’inizio il Lago Victoria, qua e là edifici in mattoni rossi di tipico impianto British, poi procede verso l’interno. Entebbe e Kampala distano solo una trentina di km, ma avvicinandosi a Kampala il traffico si intensifica, diventando infernale: minibus che fungono da taxi collettivi, camion stracarichi, moto, motorini, somari c’è di tutto! Kampala sorge su 7 colli come Roma, ha uno skyline imponente, moderno, direi pretenzioso, l’attraversiamo rapidamente e proseguiamo seguendo il nastro di buon asfalto che attraversa verdi campagne coltivate a banane, manioca e mais. Lasciato l’asfalto una deviazione conduce alla cittadina di Masindi, sorta ai tempi della costruzione della ferrovia ad opera degli inglesi. Stanotte saremo ospiti del Masindi Hotel, piccolo albergo molto coloniale, dall’atmosfera degli anni ’30 del secolo scorso. Buona la cena, a letto stremati.

14 MARZO

Ci svegliamo di buon mattino, destinazione Murchison Falls National Park, una meravigliosa area protetta che è attraversata dal Victoria Nile, il primo ramo del Nilo che esce dal Lago Victoria per entrare nel Lago Albert prima di intraprendere il lungo cammino verso il Mediterraneo. Proprio nel Parco il Nilo forma delle imponenti, grandiose cascate: l’enorme massa d’acqua del grande fiume è spinta a forza in una gola larga circa 20 metri. Visitiamo le cascate da “top of the falls”, la parte alta delle cascate, uno spettacolo grandioso! Si lascia il fuoristrada e attraverso un sentiero nella vegetazione si arriva proprio là dove inizia il salto: IL Nilo sbuffa, tuona roboante, compie un impressionante salto di un’ottantina di metri tra sbuffi di acqua nebulizzata che dà origine a uno splendido arcobaleno, per riprendere il suo corso tranquillo a valle, dove procede placido, ampio e maestoso. Forza e grandezza della Natura, energia allo stato puro. Lasciamo “top of the falls” e raggiungiamo il fiume valle. Bisognerà attraversarlo a bordo di un ferry su cui si caricano anche i fuoristrada, per raggiungere la sponda settentrionale, dove si trova il nostro Paraa Lodge, in posizione dominante sul fiume. Già a bordo del ferry si vedono ippopotami, ed elefanti. Giunti sulla sponda opposta il comitato d’accoglienza è composto da una truppa di chiassosi babbuini attorno a una kigelia africana, albero detto comunemente sausage tree per i fruppi a forma si salsiccione che pendono dai suoi rami. Prendiamo possesso delle camere, pranziamo, al pomeriggio effettuiamo un’escursione in barca sul Nilo a valle delle cascate, fino ad avvicinarci al salto, dal basso. Nota tecnica: ci sono 2 tipi di imbarcazioni: una è una grande barca in metallo a 2 piani, con tanto di guida “microfonata” etc, dove vengono raggruppati turisti di varia provenienza. Prenotando per tempo e pagando un po’ di più è possibile avere una piccola lancia privata, una barca in alluminio dal fondo piatto che può portare al massimo 8 persone e che qui viene chiamata “shoebill”, come l‘uccello dal becco a scarpa tipico di questa zona. Noi abbiamo optato per lo “shoebill”: è più piccolo e agile, riesce a manovrare più velocemente, non offrirà la postazione privilegiata dall’alto come il piano superiore della barca più grande, ma si ha il privilegio di essere da soli, non in 30 persone come sull’altra imbarcazione. Lungo il corso del Nilo la Natura africana esplode in tutta la sua grandiosità: le sponde sono verdi, qua e là si sfiorano praticamente gli ippopotami semi-sommersi, elefanti che vengono a bere, bufali e una miriade di uccelli: aquile pescatrici dall’inconfondibile testa bianca, aironi, coloratissimi malachite kingfishers, i martin pescatori che lungo le rive terrose scavano i loro nidi perforandole come forme di groviera. Arrivati in vista delle cascate la corrente diventa troppo forte, approcciamo un’isoletta dove sbarchiamo qualche minuto per le foto di rito prima di rientrare al nostro lodge.

15 MARZO

Giornata dedicata ai fotosafari in fuoristrada nel Parco Murchison Falls. Il parco appare subito ricchissimo di fauna. La nostra guida, che si rivela molto competente e preparata, avendo sentito che avevamo già visitato i parchi della Tanzania, ci spiega che in Uganda non esistono gli gnu e che le zebre sono presenti solo nei parchi Kidepo, a Nord, e a Lake Mburo. Gli erbivori prevalenti da queste parte sono i cobs ugandesi, una specie di antilope, il topi, che ricorda vagamente lo gnu, ma non ha la barba ed è di colore marrone. Le giraffe appartengono a una specie diversa, qui hanno il collo più massiccio e le macchie di colore più scuro. Le verdi colline del Murchison sono punteggiate da enormi mandrie di bufali, giungiamo al delta del Nilo nel Lago Alberto, qui tra i giacinti sguazzano enormi elefanti. Spegniamo i motori e ci fermiamo ad ammirare questa scena meravigliosa. E’ pomeriggio inoltrato, è ora di rientrare. Eravamo già soddisfatti dalla nostra giornata, quando, all’improvviso, la nostra guida si ferma: i leoni! Stanno mangiando un bufalo! Erano proprio lì, a due metri dalla pista, seminascosti nell’erba, a consumare il loro pasto. La ciliegina sulla torta! Torniamo al lodge che è ormai buio, domani si parte presto, la strada sarà lunga.

16 MARZO: DESTINAZIONE FORT PORTAL

Lasciato il Parco Murchison la strads si inerpica tortuosa sulla parete orientale della Rift Valley Occidentale, regalando splendide viste sul Lago Alberto. Da qui si procede verso Hoima, dove facciamo rifornimento di carburante. Entriamo nell’Uganda Occidentale, fatta di piccoli villaggi agricoli percorsi dall’inconfondibile pista di laterite rossa. Man mano che si procede i piccoli campi coltivati lasciano il posto a colline interamente ricoperte da piantagione di tè. Dopo la biforcazione di Kyanjojo il rilievo diviene più tormentato ed annuncia i contrafforti del Ruwenzori, la nostra guida ci indica la direzione, ma la vetta è coperta dalle nubi. Arriviamo al Mountains of the Moon Hotel, bella struttura, grande giardino, prato verdissimo. Ci godiamo un aperitivo all’aperto, accompagnati dal suono inconfondibile degli ibis che si accingono a passare la notte su un albero lì vicino. 17 MARZO Partenza alle 7. Imbocchiamo una pista che si insinua in una fitta foresta, fino a giungere alla Kibale Forest. E’ il parco nazionale più giovane dell’Uganda, qui non si fanno fotosafari in fuoristrada, si va a piedi nella foresta, per poter avvistare gli scimpanzè. Arriviamo al ranger post, parcheggiamo, ci fanno accomodare in una stanzetta per un briefing. Gli scimpanzè sono gli apes (le scimmie antropomorfe) più simili a noi, condividono con l’uomo il 98% del codice genetico. Hanno un sistema sociale molto articolato, sono in grado di comunicare in maniera complessa. Assieme a noi ci sono altri visitatori. Si viene divisi in gruppi di 8 e, guidati da un ranger e da un tracker, si parte! Le nostre guide sono dotate di radio trasmittente, comunicano tra loro, avvisandosi reciprocamente sugli avvistamenti. La camminata in foresta è abbastanza in pianura, ma il terreno è molle, fangoso, coperto da foglie in decomposizione, tronchi marci. L’aria è umida e pesante, presto una leggera pioggerellina impalpabile (che non si capisce se è pioggia o umidità) ci avvolge. La nostra guida si ferma, tende l’orecchio, indica in alto sulla cima di un albero: eccoli là, gli scimpanzè. Mi stupisce il fatto che riconosca ogni individuo, ce ne racconta le caratteristiche: questo è un giovane giocherellone, questa è una “donna” (dice woman, non female!) anziana che non vuole essere infastidita. Fanno mangiando frutti in alto, si intravedono tra il fogliame. Continuiamo a camminare, poco più avanti, seduta nella biforcazione tra due rami, c’è una mamma con un piccolo. Dopo un po’ schiamazzi e fruscii di foglie: i giovani iniziano a giocare… scene di vita sociale meravigliose, ma… bisogna stare attenti a dove si mettono i piedi! Colonne di formiche attraversano il sottobosco e se mordono… fanno male! Nota tecnica: per il trekking bisogna avere calzature adatte, mettere i pantaloni dentro ai calzettoni spessi per evitare le formiche o usare le ghette, avere camicie o maglie a maniche lunghe e una cerata antipioggia ampia, senza maniche, che, in caso di necessità, può essere indossata e coprirà anche lo zainetto e la macchina fotografica. Rientriamo dalla camminata, ci togliamo alla meglio il fango dai pantaloni e consumiamo il nostro picnic lunch su delle panche non lontano dal ranger post. Nel pomeriggio, un’altra camminata nelle Bigodi Wetlands, un’area umida non lontana da Kibale, ricchissima di specie di uccelli. E’ stata una splendida giornata, è stato splendido poter camminare dopo giorni trascorsi in auto. Procediamo attraverso un paesaggio di montagne e antichi crateri vulcanici – qualcuno occupato da laghi – verso la cittadina di Kasese, ci aspetta l’Hotel Margherita, decisamente semplice, ma lo sapevamo, eravamo stati avvisati, è che “cade bene” dal punto di vista logistico, provenendo da Kibale per raggiungere, domani, il Parco Queen Elizabeth.

18 MARZO

Nei giorni scorsi la nostra bravissima guida ci aveva parlato di un progetto che segue personalmente in questa regione, la “Little Angels Community-based School”. Ci aveva raccontato che si tratta di una scuola/collegio che ospita bambini orfani di guerra giunti qui profughi dal vicino Congo, e orfani dell’HIV. E’ una scuola supportata dalla comunità, che non riceve sussidi dallo stato e che si sostiene solo con il contributo di privati, locali e stranieri, e con il supporto di un’organizzazione olandese. Decidiamo di farvi visita ma per prima cosa andiamo in città, bisogna comprare dei doni! Troviamo una cartoleria e letteralmente la saccheggiamo: 100 quaderni, 100 album da disegno, una quantità infinita di penne, matite, colori, righelli, compassi, gomme da cancellare… a un certo punto il negozio non ha più materiale da venderci, la commessa ci dice di attenderci, andrà nella bottega di un collega a rifornirsi. Passiamo al mercato dove acquistiamo enormi sacchi di riso, fagioli, olio, farina di mais, zucchero, sale, caramelle e 6 palloni da calcio e 6 da pallavolo con relativo gonfiatore, ago per gonfiarli e 5 fischietti da arbitro. Tutto il materiale riempie completamente il nostro fuoristrada, ma non ci vuole tanto tempo, arriviamo alla scuola. La nostra guida avvisa telefonicamente del nostro avviso il direttore, Mr Patrick, e quando giungiamo veniamo ricevuti dal “comitato di accoglienza”, composto dal direttore e da alcuni insegnanti. Abbiamo ormai “fatto l’occhio” all’Africa, è il nostro 4° viaggio, ma le condizioni in cui opera questa organizzazione ci colpiscono. I bambini sono tantissimi, minuti, dagli occhi grandi e dai sorrisi che non si possono dimenticare, ti prendono per mano. A un certo punto iniziano a cantare per noi canzoni di benvenuto. La consegna dei doni segue il solenne protocollo africano, tutti i bambini sono seduti su panche all’esterno della scuola di fronte a un tavolo, dove il direttore pone, uno alla volta, gli articoli che abbiamo portato, dicendone il nome a gran voce, ogni dono è accompagnato da un applauso. Ma il regalo più gradito sono i palloni, a vederli i volti dei bimbi si illuminano, non stanno più nella pelle. Questa è stata una mattinata impagabile, che vale più di 10 fotosafari, ringraziamo la nostra guida per averci dato questa opportunità, resteremo in contatto con Mr Patrick e con la scuola e continueremo a fornire il nostro supporto. Proseguiamo per il Queen Elizabeth National Park, giungiamo allo splendido Mweya Lodge per un pranzo sulla terrazza in superba posizione panoramica sulla via d’acqua che collega i laghi Edward e Gorge, circondati dagli uccelli tessitori che cinguettando vengono a rubare le bricole ai tavoli. Un posto magnifico. Nel pomeriggio, escursione in barca a motore sul Kazinga Channel. Anche qui, come a Murchison Falls, prenotando per tempo si può avere un’imbarcazione privata. Lungo il tragitto, splendide scene di elefanti all’abbeverata, bufali, ippopotami e una miriade di specie di uccelli. Notte a Mweya Lodge.

19 MARZO

Giornata di fotosafari nel Parco Queen Elizabeth. Usciamo al mattino presto. Il paesaggio è splendido, le colline arrotondate sono ricoperte da enormi euforbie a candelabro. Passiamo proprio nel mezzo di un nutrito gruppo di elefanti con ben 3 piccoli. Sono vicinissimi! Gli elefanti mi affascinano particolarmente, sono enormi, maestosi, apparentemente placidi, a guardarne gli occhi sembra quasi che abbiano un’interiorità “umana”. Cobs, altra antilopi, ma stamattina niente felini. Rientriamo a Mweya Lodge, è splendido pranzare di nuovo sulla terrazza superpanoramica, dove, nel primo pomeriggio, piuttosto che andare in camera, ci dedichiamo a un paio d’ore di siesta prima dell’afternoon game drive. L’uscita pomeridiana ci regala una sorpresa inattesa: ad un tratto, un leopardo scende da un albero, attraversa la pista proprio davanti al nostro Toyota per scomparire nella vegetazione. E’ splendido, sinuoso ed elegante, è la prima volta che lo vedo così, a terra, nitido, non nascosto tra le foglie degli alberi! Siamo completamente appagati, per oggi po’ bastare, rientriamo al nostro lodge per un aperitivo, doccia e cena. 20 E 21 MARZO Partiamo in direzione Sud, verso l’Ishasha Sector del Parco Queen Elizabeth. L’ambiente qui è completamente diverso rispetto alla zona di Mweya, la savana ricorda a tratti quella della Tanzania, a noi nota. Una deviazione dalla pista principale conduce al fiume Ntungwe, sulle cui sponde sorge l’Ishasha Wilderness Camp, uno splendido campo tendato di quelli “eco-friendly”, perfettamente inserito nell’ambiente e egregiamente gestito. Le tende sono solo 8, l’atmosfera è intima e raccolta. Dopo il briefing iniziale pranziamo. L’obiettivo della visita a questo settore del parco è riuscire ad avvistare i famosi “tree climbing lions”, i leoni che in questa zona hanno acquisito l’abitudine, riscontrata in pochi altri luoghi, di arrampicarsi sui rami degli alberi. Nel pomeriggio inizia la ricerca. La nostra guida indica un fig tree a lato della pista: guardando nel binocolo ci rendiamo conto che… sì, su un tronco che si protende in orizzontale c’è una bella leonessa, ma è troppo lontana e qui il fuoripista è tassativamente vietato. Questa è una regola che mi piace molto, perché andando fuoripista si lasciano tracce, si danneggia la vegetazione che ci mette poi anni a ricomporsi com’era prima. Al mattino seguente siamo più fortunati, percorrendo una pista secondaria che appositamente gira attorno ad alcuni ficus, troviamo due begli esemplari di leoni, due maschi giovani, intenti a sonnecchiare sui tronchi. Sono vicinissimi, sono proprio sopra le nostre teste! Sembrano imperturbabili, quasi annoiati, ogni tanto cambiano posizione svogliatamente. Seconda notte all’Ishasha Wilderness Camp, accompagnati dai mille suoni della savana.

22 MARZO

Oggi dobbiamo arrivare in Rwanda! Lasciamo il Parco Queen Elizabeth, il paesaggio diventa sempre più montuoso. Notiamo come a tratti le colline siano interamente terrazzate, sono state disboscate per far posto alle coltivazioni. Sfioriamo il Parco di Bwindi, che occupa il versante ugandese della catena di vulcani che segnano il confine tra Uganda, Randa e Congo. Anche qui è possibile effettuare il gorilla trekking, noi abbiamo deciso di effettuarlo in Rwanda, per un paio di motivi: leggendo sui forum avevamo capito che in Rwanda il cammino è meno scosceso e gli avvistamenti, a detta di quanti hanno effettuato il trekking sia in Uganda che in Rwanda, sono migliori. Inoltre, una volta giunti fin qua giù, ci pareva non avesse senso ritornare fino a Entebbe per prendere l’aereo di ritorno, Kigali è molto più vicina. Ecco, dietro a un tornante, apparire il profilo della celebre catena di vulcani. Quello di Chyanika è un posto di frontiera secondario, il passaggio tra Uganda e Rwanda è, da solo, un’esperienza. Il primo controllo è sul versante ugandese, in un gabbiotto di metallo incandescente un doganiere prende svogliatamente i nostri passaporti, li timbra e ci lascia andare. Bisogna percorrere a piedi un centinaio di metri di No Man’s Land, fino a una sbarra, dove dei poliziotti rwandesi controllano che il doganiere ugandese abbia apposto il timbro d’uscita. La frontiera è attraversata da gente a piedi, vacche, capre, carretti. I locali hanno un lasciapassare che gli permette un certo numero di ingressi, non fanno il visto ogni volta. Dopo si arriva all’”ufficio” rwandese, che pare già un po’ più organizzato. Il visto Rwanda viene apposto in frontiera, ma bisogna presentarsi con una lettera d’invito fornita dall’Ufficio Immigrazione Rwandese: per l’ottenimento di questa lettera ci ha assistito il tour operator dall’Italia, bisogna inviare 3 settimane prima di partire i propri dati personali e indicare il giorno e il posto di frontiera d’ingresso. Ho notato che i rwandesi sono davvero ferrei! Niente lettera? Niente visto. Ho visto rispedire indietro 2 ragazze canadesi in lacrime proprio davanti ai nostri occhi. Fortunatamente avevano ottenuto la lettera, ma non ne avevano una copia, avrebbero dovuto tornare a Kisoro, la cittadina più vicina, aprire la mail e stamparla. Con la lettera e il passaporto la procedura è abbastanza veloce, noi siamo stati fortunati, se fossimo arrivati 15 minuti dopo avremmo atteso una vita, perché è arrivato un pulmino scassato carico di gente. Notiamo subito che l’asfalto è ottimo, una caratteristica di tutto il Rwanda. Dopo aver toccato il fondo in seguito ai tragici eventi di 21 anni fa, quando nella primavera del ‘94 sono state fatte fuori a colpi di “panga” (il machete locale) circa un milione di persone, il paese ha ricevuto ingenti investimenti, le infrastrutture sono state migliorate al punto da essere tra le migliori in Africa. Ormai il Rwanda è il paese più “legale” d’Africa, il “rule of law” regna incontrastato. Giungiamo a Ruhengeri, cittadina alle porte del Volcanoes National Park. Cena e pernottamento al Gorilla Volcanoes Hotel, moderno e confortevole. Domani mattina è il gran giorno, ci aspetta l’incontro con i Gorilla di Montagna.

23 MARZO

Sveglia presto, ormai ci siamo abituati. C’è mezz’ora di strada circa per arrivare al gate del Volcanoes National Park. Notiamo come le colline siano coltivate praticamente fino ai confini del parco che, per evitare l’ulteriore disboscamento, è delimitato da muretti a secco. Questa è una delle zone più densamente popolate d’Africa, il suolo è fertile e perfetto per l’agricoltura, il clima salubre di montagna impedisce la propagazione di molte patologie tipiche delle zone tropicali, come la malaria ad esempio. C’è una sottile nebbiolina e fa freddo! Giungiamo a un parcheggio, più avanti c’è una grande tettoia dove a tutti gli ospiti in attesa del trekking viene offerto tè e caffè. Un gruppo di percussionisti e ballerini molto abili intrattiene i turisti nell’attesa. Si respira un’aria di forte eccitazione, sono tutti molto emozionati. I permessi gorilla sono a numero chiuso e vanno acquistati con larghissimo anticipo, esistono solo poche famiglie di gorilla abituate a ricevere visite (insisto su abituate, e non addomesticate), ciascuna può ricevere 8 visitatori al giorno al massimo che possono fermarsi nelle vicinanze della famiglia per non più di un’ora. I gorilla di montagna, ormai ridotti a circa 700 esemplari, sono costantemente monitorati dal personale del paco. I trekkers sono nella foresta da prima dell’alba e vi restano fino a dopo il tramonto, per evitare il bracconaggio. Tutto il personale del parco è dotato di radio trasmittenti. Le famiglie si trovano ognuna a distanza diversa, alcune sono più facilmente raggiungibili (la guida ci dice che sono a 15 minuti dal campo di patate…) altri sono più distanti. Si viene divisi in gruppi in base all’età e alle condizioni fisiche di ciascuno, i turisti più anziani e meno agili vengono assegnati alla guida che li porterà dai gorilla più vicini. A noi viene assegnato un gruppo “a distanza media”, ne siamo contenti, perché ci fa piacere avere la possibilità di camminare un po’ più a lungo nella foresta. Ci viene fatto un minuzioso briefing: • I visitatori devono restare in gruppo, la distanza minima dai gorilla dev’essere di 7 metri, in modo da ridurre il rischio di trasmissione di malattie portate dall’uomo. • Se proprio si deve starnutire o tossire, bisogna girarsi dal lato opposto rispetto ai gorilla e proteggetevi naso e bocca con una mano. • Bisogna restare il più possibile in silenzio. E’ possibile fare domande alle guide, ma sottovoce e non tutti assieme. • E’ possibile fotografare, ma è assolutamente vietato l’uso del flash. • Se una pianta o un ramo vi ostruisce la vista non cercate di rimuoverla da soli, meglio chiedere alle guide. • Non bisogna toccare i gorilla, non bisogna indicarli (potrebbero pensare che state lanciando qualcosa contro di loro) e va evitato di fissarli negli occhi (tale comportamento potrebbe essere inteso come una sfida). • A volte i gorilla possono caricare. Si tratta di una dimostrazione di forza nei confronti degli “intrusi”, in generale il gorilla non ha alcun interesse a lottare con noi e la sua carica si conclude senza alcun contatto fisico. In tale circostanza bisogna accovacciarsi lentamente – sguardo a terra e mani sulla testa – e aspettare che l’animale passi. Non cercare di scappare, potrebbe essere pericoloso. Così, assieme a 4 ragazze australiane e alla nostra guida Aimable, percorriamo dapprima un tratto in auto, salutiamo la nostra guida e iniziamo a camminare. Saliamo per un paio di km attraverso i campi coltivati, poi inizia la fitta foresta. Il sole fa capolino e inizia a scaldare, fortunatamente non piove. La vegetazione è fitta, il pendio è scosceso, la nostra guida si fa largo a tratti col “panga” nel sottobosco. Camminiamo per circa 2 ore quando, ad un tratto, la nostra guida si arresta; sono là, a pochi metri da noi, in una radura aperta, intenti a mangiare germogli di bambolo, il loro cibo preferito. Ci sono madri con i piccoli intente ad allattare, i piccoli che giocano e fanno capriole, un po’ distante il silverback male il maschio capofamiglia, enorme, con il caratteristico mantello argentato sul dorso, osserva la sua famiglia. Siamo vicinissimi, ne sentiamo l’odore, posiamo veder ogni dettaglio, le enormi mani, umane, la minuzia con cui selezionano i germogli da portare alla bocca, lo sguardo che è la prova inconfutabile che i gorilla sono davvero i nostri cugini. Altro che 7 metri di distanza, siamo vicinissimi, i piccoli rincorrono e si inseguono a 1 o 2 metri da noi! Ci guardano incuriositi, poi riprendono a giocare, sembrano bambini. Poco distante, due femmine iniziano a spulciarsi. Non trovo parole per descrivere l’intensità di questo momento, l’emozione di trovarsi di fronte a questi “giganti gentili” così simili a noi umani. La guida ci fa segno che il nostro tempo è scaduto, bisogna rientrare. Ricorderemo questa mattina per il resto della nostra vita. Giungiamo alla macchina, la guida ci dice che abbiamo stampato sul volto “il sorriso di tutti quelli che tornano dal gorilla trekking”, è abituato a vedere questa espressione. Destinazione Lago Kivu, ci attende il Malahide Paradise, piccolo lodge su di una spiaggia incantevole a bordo lago.

24 MARZO

Stamattina dei canti prima sommessi, poi più vicini, accompagnati dal suono ritmato di tonfi nell’acqua mi svegliano: sono i pescatori, che a bordo delle loro canoe a bilanciere cantano per dare il ritmo alla voga. L’alba vista dal Malahide Paradise è una meraviglia, un’oasi di pace e serenità, un luogo idilliaco. Il lodge e semplice, ma molto molto carino, il contesto è splendido. Prima di colazione non resisto e, nonostante la temperatura non proprio tropicale mi tuffo nel lago. Posto a 1400 metri di altitudine il Kivu è il bacino lacustre più alto della Rift Valley, la presenza al suo interno di minerali di origine vulcanica lo rende libero da bilharzia ed è possibile nuotarvi tranquillamente. Dopo colazione partiamo alla volta di Kigali. A capitale del “Paese delle mille colline” ha un centro di palazzi di vetro e cemento, l’atmosfera è molto più ordinata di altre città africane, tanto per iniziare qui tutti portano il casco. Visitiamo il Genocide Memorial, che non voglio descrivere, bisogna andarci di persona per vedere e per capire. Pranzo veloce e via in aeroporto, un’altra avventura africana è giunta al termine. Partiamo con il volo pomeridiano per Addis Abeba, da dove a mezzanotte procederemo alla volta di Roma.

25 MARZO

Arriviamo a Fiumicino al mattino e dopo 3 ore d’attesa c’è il volo per Venezia. Un’altra avventura volge al termine, ma sono convinto che torneremo presto in Africa!



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