La Terra dei Masai

Viaggio nel cuore dell’Africa nella terra abitata dai Masai, visitando sei parchi nazionali tra i più ricchi di fauna dell’intero pianeta. Giornate immerse nella natura tra Kenya e Tanzania alla “caccia” fotografica dei Big Five
Scritto da: a.a.
la terra dei masai
Partenza il: 07/08/2014
Ritorno il: 20/08/2014
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
La Terra dei Masai (Kenya-Tanzania)

Premessa L’Africa è la meta degli ultimi nostri viaggi, un continente che ti riporta ai concetti basilari della vita. Ma l’Africa non è tutta uguale e certo la vita cambia da nazione a nazione e molto spesso da un luogo all’altro. Ti accorgi che quel poco che c’è lungo la strada che percorri, solo a volte asfaltata, spesso manca come ne esci fuori. E di vie ce ne sono poche, molte meno di quello che si possa pensare. Farsi un’idea dell’Africa in quindici giorni di vacanza è pressoché impossibile, ma certamente di lascia dentro un qualche cosa che è difficile da descrive. Forse una libertà ritrovata fuori dagli stereotipi dell’occidente, o una dimensione diversa delle cose. Capisci forse meglio il significato di “relativo” o del concetto di priorità. Un mondo affascinante che potremo riassumere con… la voglia di tornare. Dopo aver visitato alcune nazioni del Magreb e i suoi antipodi del sud, puntiamo per la parte centrale. Ci muoviamo con qualche mese di anticipo. Prima di tutto la meta, poi cosa vedere e dove andare. Ci attira la terra dei Masai con i grandi parchi del Masai Mara, del Serengeti e dell’Amboseli. Non potendo optare per il “fly and drive” sconsigliato in Kenya (soprattutto nel dover attraversare Nairobi), cerchiamo qualche tour organizzato sulla Rete e chiediamo dei preventivi. La Safe Ride Tours & Safaris (segnalata dal Lonely Planet) propone 1 0 giorni tra il Kenya e la Tanzania visitando i Parchi del Masai Mara, Lago Nakuru, Amboseli, Lago Manyara, Ngorongoro e Tarangire a un prezzo di 2000 dollari. Dopo un paio di telefonate che ci confermano il confort delle strutture (si alloggia su letti anche se a volte in strutture tendate) e che possiamo contare su un’autista-guida e una 4×4, prenotiamo. Troviamo un volo per Nairobi con la Turkish Airlines a 630 euro. Ci rimangono fuori dal programma la prima notte a Nairobi, la penultima ad Arusha e l’ultima a Nairobi il resto dovrebbe rientrare tutto nel pacchetto acquistato. La spesa complessiva a persona è stata di circa 2700 Euro.

Giovedì 7 agosto Partiamo da Fiumicino con un volo Turkish Airlines che fa scalo a Istanbul. La partenza è ritardata per problemi di maltempo nella metropoli eurasiatica, ci imbarchiamo alle 18.30 con circa 3 ore di ritardo. Salta la visita al Corno d’Oro programmata nelle 6 ore di stop. Arriviamo a Istanbul e notiamo subito un caos non comune. Erano stati cancellati numerosi voli e gli altri avevano ore di ritardo. Ci mettiamo in coda all’ufficio informazioni per chiedere del nostro volo e ci assicurano che sarà in orario alle 0.50. Quando compare sugli schermi dell’aeroporto il ritardo è di 3 ore e nessun gate assegnato. Ci rechiamo al ristorante nel piano superiore per scacciare l’attesa, il terminal anche nelle ore notturne pullula di gente tanto anche il solo muoversi diventa una spinta continua. A turno ci alziamo per vedere gli aggiornamenti sui terminali, ma nessun gate assegnato e il ritardo rimane uguale anche all’ora assegnata alla partenza. Capiamo che c’è qualche cosa di strano, intanto si fanno le 4, poi le 5 del mattino. Assegnato il gate ancora nulla per quanto riguarda l’ora di partenza. Tra sonno e stanchezza si fanno le 6.20 e finalmente inizia l’imbarco. Si parte alle 6.50 con 6 ore di ritardo e si arriva a Nairobi alle 13.30 aumentando il ritardo accumulato.

Venerdì 8 agosto Come concordato con l’agenzia ci vengono a prendere all’aeroporto e ci portano a Sarova Panafric Hotel (100 euro la doppia). Nairobi è caotica, le arterie che l’attraversano sono stracolme di mezzi e l’odore dei gas di scarico stordisce. Il traffico è allucinante, si cammina a passo d’uomo e occorrono quasi due ore per fare i 20 chilometri che separano l’aeroporto dall’Hotel. Si pensa subito al viaggio di ritorno e alla paura di perde l’aereo. Il lussuoso Sarova ci attende a braccia aperte, una doccia e subito a letto per cercare di recuperare la notte persa. Ci si alza per cena e si apprezza la cucina del ristorante a piano terra (ce ne sono 4 all’interno della struttura), il piatto tradizionale keniota non soddisfa pienamente il nostro palato ma riesce a bloccare i languori della fame. Non riusciamo ad incontrarci con l’agenzia che alla fine telefonicamente ci da appuntamento alle 7 della mattina seguente.

Sabato 9 agosto Ci svegliamo presto e subito facciamo colazione nel lusso del Sarova. Alle 7 Charles ci viene a prendere, sarà il nostro autista e la guida all’interno dei parchi del Kenya. Ci porta in agenzia per completare le formalità del viaggio. Attendiamo in centro altri compagni di avventura. Salgono sul nostro pulmino 4×4 una coppia giovanissima di keniani e un ragazzo nepalese di Katmandu, che faranno due giorni con noi al Masai Mara. Si parte per la grande riserva naturale, con Charles che, tra una telefonata e un’altra, ci spiega il cammino. Ci fermiamo ad ammirare la Rift Valley in un punto panoramico, qualche foto di rito anche se il tempo non è benigno, le nuvole non danno la percezione della vastità della valle. In basso ci sono delle Scimmie e degli Iraci delle Rocce pronti a “rubare” le briciole dei passanti. Superata la valle riprendono le montagne che fanno da confine con la popolazione Masai. I toni cambiano e specialmente i vestiti della gente. Colori sgargianti con tonalità di rossi e di gialli prendono il posto agli spenti toni lasciati. I villaggi sono visibili dalla strada, vengono segnalati dal bestiame che pascola a volte custodito dai bambini. Lasciamo la via asfaltata a pochi chilometri dal Parco per entrare in percorsi tracciati nella Savana. Si scorgono i primi animali selvatici a volte si confondono con quelli dei Masai che pascolano. Arriviamo nel paesino che è a ridosso dell’entrata di Oloolaimutia. È tracciato in modo ordinato su ipotetiche strade che le piogge dei giorni precedenti le hanno rese quasi inagibili. Dei sette corridoi tracciati si fa fatica a trovare quello percorribile ma alla fine si riesce ad arrivare al Manyatta, in camp gestito dai Masai che ci ospiterà per tre notti. Si avverte subito la spartanità della struttura, dove c’è solo l’indispensabile. Il nostro alloggio è una tenda “militare” con all’interno due letti e dietro un bagno in muratura con water, lavandino e due tubi per la doccia. Sembra però abbastanza pulito, certo non ci aspettavamo una sistemazione così spartana. Iniziamo con qualche dubbio sulla nostra scelta. È ora del pranzo, portano quattro contenitori riscaldati a gas con dentro le cibarie. Nel primo ci sono dagli spaghetti, poi delle patate al forno, spezzatino brodoso di carne e nell’ultimo tre scomparti per le verdure. Le condizioni igieniche non sono certo il punto forte di questo campeggio, ci chiediamo come siano state lavate le stoviglie, ma per fortuna ci eravamo vaccinati contro il Tifo. Le patate con lo spezzatino servito in abbondanza riescono a frenare i languori dello stomaco e si è subito pronti per il primo safari. Antilopi, Gnu e Zebbre ci danno il benvenuto, svettano anche le prime Giraffe, il primo “big five” immortalato dalla fotocamera e il Bufalo, di spalle scorgiamo anche un elefante tra l’alta vegetazione, ci fermiamo a fotografare gli uccelli e le maestose Acacie della savana. Un gruppo di auto ferme ci fa presagire che qualcosa di “grosso” c’è nelle vicinanze. Dobbiamo adoperare un potente zoom per scorgere tra la vegetazione un ghepardo. Quando si sposta tra un cespuglio e l’altro la sagoma diventa più nitida e alla fine riusciamo a fotografarla quasi a schermo intero. Come prima giornata ci possiamo accontentare anche perché è iniziato a piovere e dobbiamo chiudere il tettino del pulmino per non bagnarci.

C’è il tempo di una doccia prima della cena. Ci avvisano che l’energia elettrica sarà in funzione poche ore dalle 18.30 del tramonto alle 22, poi verrà rimessa in funzione la mattina seguente dalle 6 alle 6.30. Costatiamo che non siamo preparati a questo, non abbiamo una torcia neppure per gli spostamenti all’interno del campeggio, ma siamo fortunati ad avere la prima tenda a pochi metri dal ritrovo. Notiamo che il camp è pieno di persone, la maggior parte giovani e molti asiatici (cinesi?). Attendiamo la cena ed arrivano i soliti 4 contenitori: riso, spezzatino, patate lesse e verdure. Con poche varianti ci accompagneranno per tutto il soggiorno al Manyatta. Da bere ci sono solo bibite a temperatura ambiente, preferiamo l’acqua che abbiamo comprato a Nairobi. Andiamo a letto prestissimo per recuperare ancora la notte persa, ma la televisione all’interno della struttura e i rumori del “sabato sera” del vicino villaggio ci svegliano più di una volta. Alzarsi diventa un’impresa sia per la mancanza di luce che per la zanzariera messa con certosina attenzione intorno a letto… fuori intanto piove.

Domenica 10 agosto Ci svegliamo molto prima dell’alba e attendiamo l’accendersi delle luci per andare al bagno e fare colazione. Sul tavolo questa volta due soli contenitori con dentro del pancake e del pane tostato, nell’altro il piatto tipico del Kenya a base di fagioli e mais. Per noi mediterranei alle 6 del mattino il solo odore ci fa chiudere lo stomaco, optiamo per pane burro e marmellata, mentre da bere c’è la scelta di 4 thermos: caffè, caffè con latte, te con latte e acqua calda dove imbevere la bustina di te keniano, uno dei migliori al mondo. Alle prime luci del sole notiamo che non c’è traccia della copiosa pioggia notturna. Cambiamo il programma andando subito a visitare il villaggio dei Masai che ci ospitavano. Fuori una diecina di loro ci aspettava, canti e danze al nostro arrivo con i più temerari turisti (eravamo pochi) che sono fatti trascinare nei “salti” con loro. All’interno del villaggio la vita scorreva come se non ci fosse stata la nostro presenza. Una donna era intenta a costruire la sua casa fatta di escrementi di mucca mescolati con la terra. L’assenza di odori forti ci ha sbalordito. Poi un gruppo di donne si sono allineate ed hanno iniziato a cantare e a danzare. I colori primari caratterizzano il loro vestire. I rossi, i gialli e gli azzurri si mischiano a disegni che vanno dagli scacchi, ai zigzag e al floreale. Immancabile il racconto della loro giornata e della loro cultura. Usi e tradizioni che si passano di generazioni in generazioni anche se le ultime hanno tutte studiato a volte lasciando i propri villaggi per la città o addirittura per l’estero. Ma sempre il ritorno alla vita nomade di pastori a contatto con la natura. Gli unici che riescono a vivere nella savana a contatto con le “bestie feroci” senza sterminarle. Un Masai non ha paura di un leone, e pure le sue armi sono un lungo bastone e un coltello. Un popolo longevo che fa della sua dieta la fonte del benessere: beve latte mischiato al sangue e all’urina della mucca e si nutre solo di prodotti provenienti dal proprio bestiame. Il capo villaggio ci porta all’interno della sua capanna. Ci sediamo accanto al fuoco acceso, sopra un bollitore per l’acqua calda, accanto tutto il necessario per i pasti appoggiato su legname. La capanna è divisa all’interno da tramezzi in modo da creare delle stanzette dove dormire. Ci sono almeno sette persone all’interno, tra loro anche dei bambini che ci guardano senza accennare nessun smorfia. All’interno c’è il posto anche per il vitellino che portano durante la notte. L’unico odore che si percepisce è quello della legna bruciata che non riesce ad uscire dalla piccola e unica “finestrella”, mentre le mosche sono numerose e instancabili. Usciamo fuori intrisi di fumo e continuiamo a visitare il villaggio. Un’apertura tra le capanne ci porta nello spiazzo dove sono gli animali. Di notte rinchiusi all’interno di un recinto circolare fatto di rami secchi al sicuro dai predatori. Il calpestio degli zoccoli rende il terreno bagnato dalle piogge notturne una specie di fanghiglia mista al letame, ma una volta di più ci meraviglia la mancanza di odori forti, mentre le mosce aumentano minacciose. Lasciamo il villaggio Masai per entrare nel Parco per il secondo giorno di safari. Il benvenuto ce lo da un Serpentario, mentre due “Damaliscus lunatus” sono intenti nella lotta. Gli Avvoltoi scrutano la savana dall’alto degli alberi. In una pozza si scorgono un gruppo di Ippopotami, vicino ci sono le Anitre, mentre un’Aquila è pronta al volo. Sono le 10 del mattino e scoviamo un Leone sdraiato tra la vegetazione. Di alzarsi e farsi notare non ha nessuna intenzione, quindi decidiamo di proseguire. Un gruppo di Giraffe svettano tra la boscaglia, mentre poco lontano degli Avvoltoi spolpano ciò che rimane di una preda cacciata nella notte. Facciamo sosta al Keekorok Lodge struttura lussuosa all’interno del Parco, set del film “Out of Africa”. All’uscita dei Sprigbok si contendono il territorio a ritmo di cornate, mentre una Tartaruga passeggia indisturbata. Su una altura un gruppo di Elefanti in cerca di acqua, mentre gli Struzzi beccano il terreno. In una pozza un’altra famigliola di Elefanti, il più piccolo si sdrai nell’acqua mentre la mamma si spruzza con la proboscide il fango sul corpo. Arriviamo fino al Masai River, lo costeggiamo fino ad avvistare un branco di Ippopotami, dall’altra parte della riva un impetuoso Coccodrillo con il corpo sulla terra e la coda nell’acqua. Solo in mezzo alla Savana un Leone ferito, i segni sul corpo e sangue sulla faccia, insieme all’ansimare, sono segnali di una lotta recente. Ci riavviciniamo al fiume con altri due Coccodrilli a prendere al sole. Nella verde vegetazione sdraiate all’ombra dietro ad un cespuglio due Leonesse, ma poi lo sguardo va dentro un cespuglio dove c’è sdraiato un Leone e dietro ancora altri componenti del gruppo. Riprendiamo il cammino e incontriamo una mandria di Bufali. Un gruppo di macchine ci indica la strada per una nuova sorpresa, quattro giovani Leoni in marcia, forse in cerca di prede. Uno di loro ignaro dei “voyeurs” attraversa la strada sfiorando le Jeep ferme a ritmo di clic e flash. Rientriamo al Manyatta al calar del sole, ci attende la cena.

Lunedì 11 agosto Sveglia prima dell’alba per essere pronti già alle prime luci del giorno. I due keniani ci salutano, la loro vacanza è terminata. Entriamo a Oloolaimutia Gate e su un albero si scorge una Civetta. Nel primo corso d’acqua ci sono Bufali, Gnu e Zebre ad abbeverarsi. Un uccello dal becco variopinto si scorge nella boscaglia. La Savana pullula di animali, gli Gnu in questa stagione si riversano al Masai Mara dal limitrofo Serengeti macchiando come dei piccoli pois il panorama. Degli Avvoltoi sono intenti a banchettare un animale sicuramente ucciso dai predatori nella notte. Poco distante un Ghepardo, forse l’autore del “delitto”, è talmente mimetizzato nella vegetazione che facciamo fatica a scovarlo. Poi ci avviciniamo tanto da immortalarlo in una “foto tessera”. Ha una cicatrice sul naso segno di qualche vecchio duello. Nell’alto di una collinetta con la vegetazione a fare da separè una coppia di Leoni nell’atto dell’accoppiamento. Il sole è già alto quando ci fermiamo al Keekorok Lodge. Un Masai ci accompagna all’interno dove scorgiamo una passerella panoramica all’interno della Savana. Un bar permette di prendere un drink con vista laghetto dove un gruppo di Ippopotami sono completamenti ricoperti dall’acqua, affiorano soltanto le narici per respirare, vicino un grosso Coccodrillo prende il sole, poco lontano alcuni Bufali. La sosta al Lodge meriterebbe qualche minuto in più, ma abbiamo fretta di portare il nepalese all’aeroporto. Due Iene ci sbarrano la strada, altre sono ancora vicine ad una carcassa di animale in “lotta” con gli avvoltoi per spartirsi la preda. Ma la pancia è piena e la voglia di lottare manca. Scorgiamo anche degli Sciacalli, anche loro avevano approfittato del pasto e si dirigono verso un corso d’acqua per bere, poi attraversano la strada davanti a noi.

Usciamo dal Talek Gate ma non dal Masai Mara che non possiede recinzioni ed è circondato da Riserve Private. Una striscia bianca all’orizzonte ci segnala l’aeroporto. Parcheggiamo il Pulmino vicino agli aerei, una casetta di qualche metro quadro fa allo stesso tempo imbarco e sbarco con le relative formalità per i viaggiatori. Attendiamo che arrivi l’aeromobile e che il nepalese s’imbarchi per riprendere il safari. Costeggiamo il Masai River in cerca di animali, nella vegetazione a riparo dal sole una Leonessa riposa. C’imbattiamo in un branco di Babbuini, si stanno spostando forse in cerca di cibo, i piccoli sono sui dorsi delle madri, i maschi alteri fanno strada. Ci fermiamo sotto una acacia a fare uno spuntino. Ancora Ippopotami a fare il bagno e nello stesso corso d’acqua poco distante alcune Masai sono a fare il bucato. Charles si ferma nel villaggio a ridosso del Talek Gate per ricaricare il telefonino, ne approfittiamo per scattare qualche foto. I negozi sono tutti di colore diverso, le scritte pubblicitarie sono fatte a mano con un colore contrastante. C’è di tutto, dal falegname al meccanico, dal bar al ristorante anche una piccola casetta con l’insegna “Club City”. Gli animali domestici, mucche, pecore e asini si mescolano alla gente. Una volta rientrati nel Parco ci fermiamo in un Lodge al confine. Si può entrare direttamente attraversando un ponticello. Un Masai e un Antilope ci danno il benvenuto. Prendiamo un te nel caratteristico bar, il legno la fa da padrone anche se è lasciato allo stato naturale. Riprendiamo il percorso e scorgiamo uno Gnu che prende il latte dalla madre. Ci avviciniamo ad un gruppo di Leoni che riposano, il capobranco si rotola nell’erba, stranamente verde in questo periodo dell’anno al Masai Mara. Percorriamo una strada collinare ricca di Acacie, lo sguardo di Charles punta una zona ricca di vegetazione. Il suo fare si fa nervoso, punta con insolita fretta un albero. Sopra di esso un Leopardo in classica posa. Riusciamo a fotografarlo da vicino, indispettito ci guarda, prima decide di voltarsi e poi di scendere per inoltrarsi nella boscaglia. Non fanno in tempo gli altri ranger avvertiti dalla nostra radio a vederlo, si dovranno accontentare delle nostre foto. Ancora un gruppo di Leoni a riposo sulle rocce e dei Bufali che pascolano. All’uscita scorgiamo le donne Masai che lavano i panni in un corso d’acqua. La serata e limpida, un alone è attorno alla luna piena, un fenomeno ottico “moon shadow”. È ora di cena, ci accorgiamo che più persone del solito sono in attesa davanti alla TV, tutti locali. Va di scena un Reality, le scene sono state girate proprio al Manyatta. La gente guarda e si riconosce. Attendiamo il termine della trasmissione per andare a dormire, la giornata è stata lunga.

Martedì 12 agosto Ci alziamo sempre alla stessa ora, ormai abbiamo preso il ritmo e più tardi delle 5 il letto ci risulta nemico. Facciamo le cose con calma, l’appuntamento è alle 7. Sarà una giornata lunga dato che lasceremo il Masai Mara per spostarci sul Lago Nakuru. Ma per farlo attraverseremo buona parte del Parco per uscire dalla parte centrale in direzione Nairobi. Quindi carichiamo le valigie sul pulmino che è diventato tutto a nostra disposizione. Ci soffermiamo nel villaggio per immortalarlo in alcune foto. Spicca la rivendita di “Petrol and Diesel” senza pompe, fatta con le taniche, i bar ristoranti certamente utilizzati dai locali e gli Hotel con le scritte a pennello, alcuni in costruzione. Sono i Bufali i primi ad attenderci all’entrata del Parco. Poi un gruppo di Elefanti, mentre Gnu, Antilopi e Zebre sono diventate parte del paesaggio e non le degnamo più dei nostri sguardi. È sempre più facile vedere carcasse di animali spolpate dagli avvoltoi, segno che il Masai Mara è in piena salute. Facciamo un fuori pista, solo il tempo di scorgere una Leonessa con due cuccioli forse di un paio di settimane. Uno di loro si allontana e lei si alza per andarlo a riprendere. Dobbiamo lasciare il posto alle altre macchine, dietro di noi anche due “scuolabus” pieni di scolari in gita. Ci spostiamo nella parte periferica e collinare del Parco dove svettano le Giraffe. Usciamo dal Parco e ci dirigiamo a nord. Riprendiamo la strada percorsa all’andata in direzione Nairobi, ma dopo al Rift Valley voltiamo a sinistra in direzione Laghi. Il primo è il Naivasha famoso per i vivai di rose esportati per lo più in Europa. Davanti alle serre pascolano delle antilopi-capra. All’ingresso del Parco un Camp con tende lussuose su palafitta, accanto il pannello solare per l’acqua calda. Il Lago è straripato nella campagna vicina e molti alberi sono coperti dall’acqua. Le nuvole minacciose accennano qualche goccia di pioggia. Questo non interrompe le escursioni sul Lago con le barche, per noi solo una breve sosta con un te rigenerante. Riprendiamo il cammino nel traffico “puzzolente”. È l’arteria più importante del Paese quella che da Mombasa porta in Uganda attraversando Nairobi. Costeggia la ferrovia che per il volere del Governo è stata ridimensionata aumentando il traffico pesante su gomma. Si inizia a scorgere il Lago Nakuru, ma prima bisogna attraversare l’abitato. In una zona verde c’è la Residenza del Presidente della Repubblica. Arriviamo al Chester Hotel, un alberghetto ospitale in una via periferica vicino allo Stadio di Calcio. L’ampia stanza ospita due letti matrimoniali e un salottino. Prima della cena una doccia calda. Al Ristorante al primo piano si può ordinare alla carta, optiamo per una Tilapia (pesce tipico del Lago Vittoria) al forno servita con patate.

Mercoledì 13 agosto Ormai i ritmi sono quelli del Sole e anticipiamo la sveglia. Dopo un’abbondante colazione carichiamo le valigie sul pulmino e ci dirigiamo all’interno del Parco. Con nostro stupore, anche perché non segnalato dalle Guide, due anni fa il Lago Nakuru per le forti piogge ha innalzato il suo livello. L’entrata principale è stata spostata, oggi è letteralmente sommersa dalle acque. La strada che costeggiava il lago ormai non c’è ma è stata subito tracciata una nuova più interna. La caratteristica del lago sono i Fenicotteri Rosa che si nutrono delle sue alghe. Ma con l’innalzarsi delle acque gli uccelli non possono più cibarsene e quindi si sono trasferiti altrove. Il piccolo lago è anche sede di un Parco Nazionale con diverse specie tra cui il “quinto” big five… quello che ancora ci manca. Ci armiamo di potenti “armi da guerra” per cacciarlo. Uno zoom 1200 mm, già in Namibia ci sfuggì per la troppa distanza. Ed ecco un gruppo di Rinoceronti Bianchi sdraiati a bordo strada. Sono vicini a noi e immobili si fanno fotografare. Scorgiamo degli Aironi vicini ad un carapace di una Tartaruga, alcuni si specchiano nell’acqua, mentre sul lago affiorano i primi uccelli. Sono dei pellicani dal piumaggio che va dal bianco candido al rosa. Saliamo in alto verso una collina per ammirare il panorama. Ci attende una famigliola numerosa di Babbuini che filmiamo mentre si azzuffano urlanti. Scendendo ci imbattiamo in un gruppo di Lesule, il maschio è eccitato lo si nota dai testicoli blu fosforescenti. Le Antilopi-capre si alternano ai Facoceri mentre un gruppo di Babbuini è riverso in strada a modo “sciopero generale”. La montagna che fa da sfondo al lago mette in mostra le sua roccia, mentre i Bufali pascolano indisturbati. Su di una altura si contano sei Giraffe, all’unisono ci guardano, poi seguitano a brucare nella vegetazione. Sono le Giraffe del Lago Nakuru, differenti dalle altre, riconoscibili dalle caratteristiche zampe bianche. Anche il colore del mantello cambia… è più scuro. Ci imbattiamo in un altro branco di Rinoceronti Bianchi, questi sono più attivi e pascolano indisturbati. La mole è enorme, tutto è enorme quasi spropositato. Sono tanti non riusciamo a contarli, forse una decina. Dietro a noi tre scuolabus del “The Makueni Schools” della Primaria in visita scolastica. Stiamo all’uscita del Parco quando dalla Radio segnalano l’avvistamento di Rinoceronti Neri, molto più rari e difficili da avvistare perché vivono nella vegetazione alta. Charles mette in fretta il velivolo nella loro direzione. Li avvistiamo, sono lontanissimi da noi, solo il forte zoom riesce a riprenderli ma in maniera sgranata. Sono una Mamma con un Piccolo (si fa per dire), la vegetazione arriva fino alla pancia della madre nascondendo buona parte del figlio. Torniamo indietro ma prima scattiamo alcune panoramiche sul lago immortalando Zebre, Bufali e Uccelli di varie specie. Ci mettiamo in cammino la prossima tappa è l’Amboseli a 400 Km attraversando l’intera Nairobi. Il Traffico è intenso e puzzolente, sulla strada si attraversano i villaggi. Ripercorriamo il tratto sulla Rift Valley e ci fermiamo ad ammirare nuovamente il panorama e a “sgranocchiare” il nostro cestino. Riprendiamo il cammino e prima di arrivare a Nairobi Charles fa una deviazione. Lascia l’arteria principale e s’immette nelle stradine periferiche attraversando il quartiere Karen di Nairobi. Quartiere dedicato alla scrittrice Karen Blixen, dove la sua dimora è stata trasformata in Museo. Ci fermiamo al Centro Commerciale Karen, Charles deve andare in Banca e noi ne approfittiamo per fare un giro al Supermercato. L’impatto è quello di entrare in un nostro Ipermercato, nel poco tempo trascorso l’idea che ci siamo fatti è che i prodotti locali sono economici mentre quelli d’importazione molto cari. Si è fatto tardi e di strada ce n’è ancora molta. Viaggiare di notte in Africa è sconsigliato. Costeggiamo il quartiere di Libera, il più povero e popolato, con circa 200 mila persone per chilometro quadrato. Il Governo ha costruito dei palazzoni per dare ospitalità agli abitanti della township, Charles ci dice che chi ha avuto la casa l’ha subito affittata preferendo di rimanere nelle baracche. Costeggiamo il Nairobi National Park, a ridosso della Città e vicino ai due aeroporti. Due ore per uscire dalla Capitale e prendere in direzione Malindi. I villaggi sulla strada sono causa di file lunghissime di camion. Bisogna attraversali a passo d’uomo anche per via dei dossi artificiali. A volte preferiamo le strade laterali in terra battuta che ci permettono di superare i Tir in coda. Nei villaggi la vita pullula, banchetti di mercanzia più varia sono ovunque. Sulla strada si vendono i prodotti della terra: patate, carote, cipolle e ogni tipo di verdura. È già notte quando attraversiamo Sultan Hamud. I camionisti hanno parcheggiato sul bordo della strada per rifocillarsi prima di riprende il viaggio, la sera alcuni negozi si trasformano in ristoranti dove fanno la carne arrosto. Gli odori arrivano fin sulla strada. La situazione è caotica e manca ancora molta strada da fare. Arriviamo a Emali dove lasciamo la Nairobi-Mombasa per dirigerci verso il Parco. La strada che sulle mappe è “bianca” risulta appena asfaltata. Solo a pochi chilometri dall’entrata del Parco la lasciamo per un tratto sterrato e pieno di buche. Arriviamo al Kibo Safari Camp quando tutti sono già in tenda a dormire. Dalla stradina che porta al nostro alloggio si scorge l’interno delle tende. Ampissime, con doppio letto matrimoniale, un angolo con uno specchio e un tavolino, dietro il bagno in muratura diviso in tre vani: water, doccia e lavandino. Ricco di scomparti ricavati tra legno e intonaco. Il ristorante è ancora aperto e serve piatti caldi e freddi al Buffet. La scelta è ampia, che varia dalle zuppe alle pietanze passando per i contorni. Un tavolo è dedicato ai dessert con ampia scelta di dolci e frutta.

Giovedì 14 agosto Ce la prendiamo comoda alla mattina, il lungo viaggio ci ha costretti a posticipare il programma, ma prima che la sveglia suoni già siamo in piedi. La giornata non è bella e non riusciamo a scorgere il Kilimangiaro. Ci sono troppe nuvole, alcune minacciose di pioggia. Dopo una ricca colazione, partiamo per la volta del Parco. L’entrata di Kimana è ad un chilometro, ad attenderci come al Masai Mara, le donne Masai per venderci qualche souvenir. È sempre un sorriso a terminare la trattativa. All’entrata un gruppo di Elefanti che marciano verso l’acqua, quattro adulti e tre piccoli. Del resto sono gli Elefanti l’attrattiva maggiore del Parco. Ci avviciniamo ad un altro gruppo più numeroso che è intento a “raspare” il terreno per strappare la vegetazione e mangiarla. Questo fare preoccupa non poco i ranger che hanno paura che l’Amboseli diventi arido trasformandosi in un deserto. Più volte si è pensato di spostare gli Elefanti in un altro parco, ma non è stato ancora escogitato il sistema. Una Iena costeggia la strada, ci accompagna per qualche minuto e poi si dilegua nella boscaglia. Dobbiamo frenare di colpo, un grosso Elefante ci attraversa la strada, sopra al dorso e in basso ci sono degli uccelli che lo accompagnano. È seguito dal Piccolo che anche lui incurante attraversa la strada per raggiungere la madre. In una pozza c’è una mamma con un piccolo sdraiato ai suoi piedi. Altri sono immersi nello stagno, più in là degli Ippopotami. Immancabili gli uccelli dal piumaggio variopinto. Ci imbattiamo in un gruppo numeroso di Elefanti, forse una trentina tra adulti e piccoli. Lo scenario è indescrivibile, la radura secca fa trapelare ancor di più la mole di questi animali. Un gruppo di Scimmie si confonde tra la sterpaglia. In un’altra laghetto un gruppo di Ippopotami è completamente immerso nell’acqua. Di tanto intanto escono con le narici per respirare e ci guardano infastiditi. Un’altra mamma Elefante con il suo piccolo ci taglia la strada. Saliamo su “Rock to Dust” per ammirare il panorama. La collinetta è sopra ad uno specchio d’acqua. All’interno un’isoletta occupata dagli Ippopotami. Dall’alto si possono scorgere gli animali, su tutti (anche per via della mole) gli Elefanti. Riscendiamo verso la zona paludosa dominio degli Elefanti e degli Uccelli. Ci accorgiamo che ci sono anche gli Ippopotami completamente ricoperti da Uccelli. Incontriamo due maschi di Elefante solitari, sono pericolosi quando sono soli, è meglio non fermarsi. Uno di loro è minaccioso e visibilmente eccitato. Scorgiamo una Iena e poi una coppia di Giraffe. Rientriamo per pranzare al Lodge e notiamo che i Masai pascolano il bestiame all’interno del Parco non curante dei pericoli. Rientriamo a Bimana Gate per il Safari del pomeriggio. Ma subito un Ghepardo ci fa fermare. Con noi parecchie Jeep ad immortale lo splendido animale. Ma con stupore notiamo che dietro un cespuglio c’è un altro Ghepardo, lo sguardo ritorna su quel cespuglio e si notano altri tre musi. La madre rimane isolata, mentre i quattro figli ritornano a “coprirsi” dietro il verde. Nell’aria fiutano qualche preda. Sono sicuramente alla ricerca di un “pasto caldo”. Chiediamo a Charles di seguire la scena. Tutte e cinque fiutano verso l’altra parte della strada, a favore di vento che in quel momento è sostenuto. Non hanno fretta e del resto neppure noi. La madre cambia direzione, torna indietro e attraversa la strada. Seguita a distanza dai quattro figli. Hanno tutti la bocca aperta come se fossero affaticati, mentre stanno solamente “assaggiando” l’aria alla ricerca della giusta direzione. Sono sempre più vicini a noi, li possiamo fotografare in tutte le posizioni. La madre si fa avanti nella Savana, vicino a dagli alberi ci sono delle antilopi. La distanza è ancora molta. Con un passo felino, la madre si dirige verso di loro mentre il resto del gruppo si nasconde dietro alla macchia. Il passo si fa sempre più intenso e appiattito, mentre i quattro si incominciano a muovere in altre direzioni. È ormai a distanza di attacco, inizia a scaldare i motori e ad aumentare la velocità e in pochi secondi è già sulla preda. Noi scorgiamo solo un polverone, con qualche grido “presa, presa”. L’immagine successiva è tutti e cinque con le grinfie sulla povera preda, ogni tanto alzano la testa insanguinata per scrutare se arriva qualcuno. Intanto si è fatta l’ora dell’uscita, il Gate è poco distante, ma prima di uscire ci sbarra la strada un Elefante. Le due ore e mezzo passate a seguire i Ghepardi sono passate in fretta, uno spettacolo che ci rimarrà impresso nella mente per sempre. Una doccia e siamo pronti per la cena che questa volta ci possiamo godere senza fretta. Ma prima tutto il personale inizia a coinvolgere i presenti con canti e danze… “Jambo Bwana” su tutte. Sicuramente a divertirsi maggiormente sono proprio loro… anche questa è l’Africa. Poi servono la cena con volto sorridente e nella mente ancora i refrain. Fuori è acceso il Boma, già sono pronte le sedie attorno per chi vuole riscaldarsi e godersi il cielo equatoriale. Alziamo la testa e notiamo la miriade di stelle che si scorgono. Siamo incantati da questo spettacolo. Iniziano poco sopra l’orizzonte e coprono l’intera calotta. Ogni tanto qualche velatura di nubi le nasconde per poi riscoprile ancora più splendenti. Arriva un gruppo di Masai a fare lo spettacolo. Canti e danze dei Guerrieri con gli immancabili salti che coinvolgono i turisti.

Venerdì 15 agosto Oramai l’orologio biologico è tarato alle 5, è ancora notte per lasciare la tenda. Ai primi chiarori usciamo temerari utilizzando le torce messe in dotazione (una è a pannello fotovoltaico). La giornata non è bella, ma riusciamo a scorgere il Kilimangiaro tra le nuvole. Solo in vetta è restata un po’ di neve, in basso ci sono già le prime minacciose nuvole. Colazione e subito in partenza con le valigie, la giornata terminerà in Tanzania. Con noi sale la una giovane, ci dice di lavorare nella Spa del Lodge come massaggiatrice. Approfitta del passaggio per recarsi a Nairobi. Si mette seduta avanti, ma subito ci accorgiamo che non è abituata a vedere gli animali. Entriamo nel Parco sempre con l’idea di vedere la maggiore vetta africana. Ogni tanto le nuvole la lasciano scorgere, ma non riusciamo a fare la classica foto con gli animali e sullo sfondo la Vetta. Incontriamo un gruppo di Ghepardi forse lo stesso della sera precedente. Gli immancabili Elefanti, tre mamme con tre piccoli e un altro Elefantino più grande. Tra la boscaglia un Leone, è troppo lontano per inquadralo bene. Zebre e Bufali si mescolano. Costeggiamo l’Amboseli Lodge, accanto un altro accampamento ormai abbandonato. Al Gate un Pulmino è in avaria. Charles non si fa prendere dal panico e fa salire cinque di loro sul nostro mezzo. Sono dei cinesi che con le mani congiunte ci ringraziano più di una volta. Attraversiamo da est a ovest tutto l’Amboseli convinti di avvistare il Lago. Tutte le cartine lo riportano, ma con stupore è completamente asciutto, Charles ci dice che da diversi anni è diventato Pan. I Masai ci vanno a pascolare il bestiame. La strada porta a Namanga la cittadina al confine con la Tanzania. Svolgiamo le operazioni di frontiera per uscire dal Kenya e a piedi ci dirigiamo negli uffici tanzaniani per il Visto. Le trafile burocratiche sono lente, ma nessuno mostra fretta. Nemmeno noi che dobbiamo attendere la navetta per Arusha. Il compito di Charles finisce qui ad Arusha avremo un’altra guida. Ma prima di lasciarci attende l’arrivo della Shuttle che ci mette parecchio tempo per varcare la frontiera. Notiamo che è già strapieno, riusciamo a trovare un posto di fortuna con le valigie caricate sul tetto. Il percorso sarà breve, Arusha dista un centinaio di chilometri. I controlli sono molto approssimativi, nessuno ci ferma a chiedere il passaporto. Passato il confine la Tanzania ci sembra un po’ avanti rispetto al Kenya. La strada è larga e nuova, si scorgono ancora dei cantieri di lavoro. Si punta verso il Monte Longido, una Riserva Foresta, caratteristico per il suo corno. Con stupore notiamo anche la segnaletica, che in Kenya non c’era assolutamente. I villaggi sono meno spartani e i sono molte più case in mattoni. In collina si scorgono delle villette, del resto questa è la parte ricca della Tanzania. Arriviamo ad Arusha completamente ignari del nostro programma. Chiediamo all’autista dove ci porterà, ma lui ci risponde che si fermerà ad un parcheggio. Arusha è una città che fa da spartiacque tra il Kilimangiaro e i Grandi Parchi della Tanzania. Il traffico è caotico, ma scorre. Le strade laterali sono un fermento di attività, l’uso della motocicletta è molto diffuso come del resto in Kenya. Ma qui si scorgono anche dei tre ruote, alcuni per portare in giro i turisti. Il pulmino si ferma in un parcheggio dove ci stanno ad aspettare due signori. Ci fanno salire in auto per portarci all’Hotel. Con stupore notano che abbiamo delle normali valigie. Si aspettavano degli zaini e dei sacchi a pelo. Noi chiediamo spiegazioni. Ma arrivati all’Hotel, beh chiamiamolo così, si dileguano nel nulla. Rimaniamo con i dubbi in questa struttura quasi fatiscente. Non sappiamo dove siamo, in che parte della città, non abbiamo soldi locali e idea di cosa sarà il nostro futuro. Chiamiamo l’Agenzia di Nairobi per chiedere spiegazioni. Dopo vari tentativi ci risponde il titolare confermandoci che nel nostro programma c’erano due giorni in campeggio. Non siamo abituati, e soprattutto non abbiamo più l’età per passare delle notti in tenda con il sacco a pelo. Attendiamo fino all’ora di cena, nel frattempo troviamo un cambio, poi chiamiamo un taxi per portarci in centro. Il tassista ci ferma in un locale dove si può mangiare. È molto pulito e ben fatto, ordiniamo alla carta. Siamo nervosi, sfiduciati e preoccupati per il nostro futuro. Al ritorno in Hotel ci dicono che l’Agenzia di Arusha ci è venuta a cercare, la ricontattano e ci da un appuntamento in serata. Viene da noi ad incontrarci proprio il titolare che ci conferma che abbiamo acquistato nel pacchetto due giorni in campeggio. Gli facciamo capire che non erano questi i patti e che nel programma c’era un altro tipo di sistemazione. I toni si fanno caldi, noi non siamo disposti a cedere. Lui prima ci chiede del denaro per cambiare sistemazione, poi rileggendo bene il programma conviene con noi che c’è stato un malinteso. Anzi come sostiene, ci hanno venduto una cosa per un’altra. Dice di non preoccuparci che faremo una bella vacanza e che all’indomani sistemerà ogni cosa. La notte non passa tranquilla.

Sabato 16 agosto I rumori del risveglio della Città interrompono il sonno prima del tempo. Al sonno fanno posto i pensieri. Dalla nostra finestra s’incomincia a scorgere il monte Meru che domina con i sui 4566 metri Arusha. Scendiamo alle prime ore del giorno per fare colazione. Non c’è traccia di farla alla maniera “mediterranea” quindi spalmiamo un po’ di burro sui toast e sopra ci mettiamo un po’ di zucchero, la merenda di quando eravamo bambini. Il caffé invece è buono, del resto ad Arusha ci sono i raccolti più pregiati. Alle 7 ci vengono a prendere e ci portano in una casa in una strada sterrata. Ad accoglierci c’è il proprietario dell’Agenzia che ci fa entrare nel suo studiolo. Ha già fatto delle telefonate e cambiato il programma. Ci assicura che non dormiremo in tenda con il sacco a pelo. Nel frattempo arriva una coppia che farà parte del viaggio con noi e poi un ragazzo. Giunge anche l’autista, Mascia, che subito si presenta e con disinvoltura cerca di dialogare con noi. Viene istruito sul nuovo programma e quindi si carica due casse d’acqua e si parte. Il nostro “motore” questa volta è una Jeep Toyota. Il ragazzo è cileno di Santiago ed è in giro per il mondo per tre mesi, dopo l’Africa toccherà l’Asia e quindi l’Europa per poi tornare in Sudamerica. La coppia è formata da due ragazzi italiani, in realtà lei è della provincia di Ferrara, lui belga. Provengono da due settimane di volontariato a sud di Dodoma. Prima di lasciare la Tanzania faranno un paio di giorni con noi nei parchi e poi qualche altro al mare. La prima cosa che ci colpisce è la guida di Mascia, specialmente nei sorpassi, affianca l’auto da sorpassare, frena, si porta alla stessa velocità e poi ignaro di come sarà la strada completa il sorpasso. Capiamo subito che il suo intento è quello di proteggerci, lo fa ad ogni più piccola occasione. Arriviamo subito al Tarangire un Parco nazionale vanto dei Tanzaniani perché ricco di flora e di fauna. In linea d’area non dista più di 50 km dalla città. All’ingresso del Parco un Baobab fa da spartitraffico per chi entra e chi esce. Un Facocero si lascia fotografare prima di darsi alla macchia. In una pozza d’acqua degli Gnu si abbeverano, con loro anche dei Facoceri e degli Uccelli. Nel cammino ci imbattiamo in un gruppo numeroso di Elefanti, si mescolano agli Gnu e alle Zebre. Un Antilope-capra ci guarda impaurita. Arriviamo ad una zona isolata sotto un dirupo, ospita un campeggio. Zebre, Antilopi, Giraffe e Struzzi sul nostro cammino. Su un altura un Elefante solitario. Poi ancora Giraffe, Zebre e Gnu. Saliamo in alto per scorgere il panorama e per una sosta ristoratrice, Mascia ha con se dei “cestini” con il pasto. È una zona attrezzata per i picnic, molte le Jeep parcheggiate. Ci appoggiamo ad un tavolo a ridosso della staccionata, che ospita un gruppo di Babbuini. I cartelli invitano a non dare da mangiare agli animali, ma uno di loro ruba un panino dalle mani di una bambina che rimane stupita. Quindi sale su un albero per scartarlo e mangiarselo. Dal panorama si scorge la valle, ci sono gruppi di Elefanti sul letto del fiume che in questo periodo ha poca acqua ma la distanza tra le rive fa intuire che nel periodo delle piogge la portata è molto maggiore. Sotto un albero due Ghepardi banchettano con una preda ancora calda. Arriviamo in un punto dove l’acqua è maggiore, ne approfittano stormi d’uccelli per rinfrescarsi. Più avanti un gruppo numeroso di Elefanti. Degli Scoiattoli fanno capolino su di una roccia, ci guardano intimoriti e si nascondono nelle cavità. Usciamo dal Parco in direzione contraria, percorriamo la strada per Arushia fino al bivio con la strada che porta al Serengeti. All’incrocio si è sviluppato il villaggio di Makuyuni, l’ora è ancora calda e la gente è riversata in strada. Un mercatino continuo di colori, la merce è mostrata in ogni maniera ma soprattutto stesa a terra su dei lenzuoli colorati. Facciamo fatica a capire cosa sia, si scorgono i prodotti della terra su tutte le patate. I Masai si distinguono dagli altri gruppi da come sono vestiti, immancabile la “coperta” sulle spalle. Riprendiamo il percorso sui piedi di una collina piena di Baobab un villaggio Masai. Arriviamo sul Lago Manyara, attraversiamo la Città e ci arrampichiamo su una montagna. Imbocchiamo una strada sterrata dove ci sono delle grosse antenne, poco distante un campeggio. Mascia parcheggia la Jeep, sarà la nostra dimora. Da una parte le tende che affacciano sulla valle, da qui il nome di Panorama Camp, dall’altra dei Bungalow fatti a trullo. Ci danno il numero 13, dentro l’essenziale anche come spazio, due muretti di cemento sono i letti distanziati da un corridoietto di un metro, sopra sono appoggiati dei materassini, niente altro. I servizi igienici e le docce sono comuni. Sapevamo di doverci arrangiare ma certo non credevamo di scendere sotto il livello del Manyatta. Chiediamo delle lenzuola e delle coperte, con molta disponibilità cercano in tutte le maniere di accontentarci. Il personale è gentile e si vede che ci tiene. Certo che per noi la sistemazione è al di sotto della soglia limite, ormai ci siamo e dobbiamo continuare, rimanderemo al giorno seguente la possibilità di interrompere il programma. Ci offrono un te per fare uno lo spuntino, tutto è già apparecchiato nel nostro tavolo da 5, ma è quasi ora della cena. Ce la servono portando una zuppiera e un vassoio dove c’è un po’ di tutto, dal riso alle patate, dalle verdure allo spezzatino di carne. Ognuno si versa nel piatto la sua porzione. La situazione igienica è al limite, ma nessuno si ferma a sottolinearlo. A cena terminata, un gruppo di acrobati che vice in quel campeggio, inizia il proprio spettacolo. Canti, danze e poi salti mortali e flic e flac. Quindi le acrobazie con i birilli e i cappelli. La stanchezza è tanta e non riusciamo a vedere la fine.

Domenica 17 agosto Sveglia a notte fonda, il duro letto non ti permette di riprendere sonno, ma bisogna aspettare almeno l’aurora per raggiungere i bagni essendo privi di ogni fonte di luce. Del resto l’appuntamento è alle 6 ci spetta il Ngorongoro che dista una sessantina di chilometri. Il resto del gruppo è puntuale alla prima colazione, ci servono del caffé o del te caldi, dei toast dove poter spalmare burro e marmellata, nel “solito” vassoio ci sono anche delle uova al tegamino, delle crepe, dei wurstel e della “brodaglia” forse con fagioli. Si racconta la notte passata, c’è chi ha combattuto con le zanzare (alcune portatrici della malaria e della febbre gialla), chi ha dormito vestito per le condizioni igieniche al disotto della norma. Alle 6.30 siamo già in marcia verso il “Cratere” percorrendo la strada che porta al Serengeti. Nei villaggi sono ancora accese le luci, Mascia ferma un ambulante con un carretto e ci compra delle gomme da masticare. Arriviamo all’imbocco della strada per il Ngorongoro alle 7.10. Ci sono molte auto in attesa di passare, ma prima bisogna districare le procedure burocratiche come quelle di acquistare i pass di accesso. E mentre la Guida si occupa di questo, ne approfittiamo per visitare la Hall che ospita un plastico del Cratere e varia cartellonistica sulla Tanzania. Sopra il cancello d’ingresso la scritta “Karibu eneo la hifadhi ya Ngorongoro” benvenuti nell’area protetta del Ngorongoro. Dopo il cancello inizia la strada sterrata, la stessa che porta Serengeti e proseguendo al Masai Mara (percorrendola interamente si tornerebbe al punto di qualche giorno fa). Subito l’incontro con dei Leoni che sono all’interno della Foresta, una Leonessa costeggia la strada è talmente vicina da poterla sfiorare. L’altopiano ha lasciato il posto alla montagna per inoltrasi nella foresta, e si sale in pochi chilometri dai 1765 del Gate ai 2200 del punto panoramico per poi costeggiare la cresta del vulcano fino ai 2370. Le nuvole sono basse e non ci permettono di vedere dentro al cratere. Poi in uno scorcio si intravede il terreno, siamo proprio sopra al Lago Magad, in fondo si scorge anche qualche raggio di sole. Lo spettacolo è mozzafiato, ci sono almeno 600 metri di dislivello. Arriviamo al Gate e scendiamo dalla vettura per immortalare il momento con delle foto ricordo. La temperatura è molto bassa e tira un vento proprio contro la nostra faccia. La discesa nel cratere è ripida e si fa in una ventina di minuti. Sono degli Aironi a darci il benvenuto, vicino al Lago Magad degli Gnu e nelle sue acque gli Ippopotami. In lontananza possiamo scorgere un Rinoceronte Nero. Al Ngorongoro non si possono lasciare le strade e le piste sono poche, quindi ci dobbiamo accontentare di vederlo da lontano. Ci fermiamo invece davanti ad un gruppo di Iene Maculate. Scorgiamo anche dei Leoni che sono sdraiati nella sterpaglia. Ci imbattiamo in una mandria di Bufali con gli immancabili uccellini sul loro dorso. Sulla riva del Lago un Rinoceronte Nero, ma è troppo lontano per poterlo riprendere. Ci fermiamo a ridosso di un laghetto in un’area attrezzata per fare un picnic. Nell’acqua ci sono degli Ippopotami, alcuni molto vicini alla riva. Molti turisti li ignorano non sapendo che è l’animale più pericoloso della Savana. Si avvicinano degli uccelli a beccare le “briciole” che ci cadono. Riprendiamo il cammino e ci imbattiamo in un Leone dalla fluente criniera, è sdraiato nell’erba alta, aspettiamo che si alzi per scattare qualche foto. Poi si allontana. Due Sciacalli sono in cerca di cibo, mentre un facocero si nasconde tra la sterpaglia. In una pozza un gruppo di Iene maculate. Il sole di tanto in tanto fa capolino tra le nuvole e ne approfittiamo per scattare qualche foto al paesaggio corredata da Antilopi, Facoceri e Zebre. Prediamo la strada per uscire, non è la stessa dell’entrata, è tutta lastricata in mattoni per permettere alla Jeep di salire più comodamente. Ma la pendenza è tale che alcune cariche hanno delle grosse difficoltà, bloccando le altre. Salendo con le nuvole diradate lo scenario è incantevole. Ci fermiamo al punto panoramico per mirare tutto intero il Ngorongoro. Torniamo al Lago Manyara che è ancora giorno. Dal nostro Camp, appunto il Panorama, si può mirare la Valle sottostante con il Lago circondata dalle alte montagne. Sul Lago si scorgono i Fenicotteri Rosa che formano delle specie di isole sull’acqua. Decidiamo di rimanere anche la notte successiva mentre la coppia di amici ha trovato un passaggio per Arusha. Il “capo” del camp vuole parlare con noi, vuole sapere come abbiamo trascorso il soggiorno e ci offre un bungalow a testa per la notte dato che si sono liberati. Facciamo il trasloco non dimenticandoci le lenzuola e le coperte in modo da non richiederle. Approfittiamo del baretto all’interno per collegarci ad Internet e ricaricare il PC. La cena è pressoché la stessa e lo spettacolo degli acrobati pure. Decidiamo di togliere il disturbo e ritirarci nelle nostre “camere”.

Lunedì 18 agosto La sveglia è la solita, ma l’appuntamento e posticipato alle 7. C’è tutto il tempo per fare colazione e darci una lavata. Siamo rimasti in tre (come la canzone) e possiamo muoverci più agevolmente sulla Jeep. Al Cileno cambiano di ora in ora il programma, carica la valigia anche lui perchè non si torna al Camp Panorama. La giornata prevede la visita al Lago Manyara e poi il trasferimento ad Arusha dove termina il programma previsto dall’Agenzia keniota. Non ci aspettiamo niente di che al Lago, le guide non lo descrivono come un Parco importante. Già ci aveva deluso il Lago Nakuru senza Fenicotteri Rosa, quindi affrontiamo la giornata sperando di raggiungere la Città il più presto possibile. Ci fermiamo sulla strada a scrutare il panorama, un’altra giornata nuvolosa ma almeno la visibilità è buona. Entriamo al Parco ma una frana negli anni precedenti ha completamente travolto gli uffici. All’entrata ne sono testimonianza le strutture sommerse dal fango che si possono visitare con un percorso guidato. Al suo posto ci sono delle tende che le sostituiscono. Dei Pappagalli ci danno il benvenuto, poi dei Babbuini intenti a spulciarsi. La vegetazione è folta e sulle cime degli alberi si possono notare gli uccelli. Arriviamo a bordo Lago dove riposano dei Pellicani. Sono un numero impressionante tanto da creare delle macchie bianche sul pantano. Vicino anche delle Anitre ed altri Uccelli. Tra la vegetazione completamente immersi nell’acqua gli Ippopotami. Rientrando verso l’interno un gruppo di Babbuini. S’inizia a scorgere il Lago e una macchia rosa lo caratterizza. Con sorpresa notiamo che sono dei Fenicotteri Rosa, quindi quello visto dal Panorama il giorno prima non era un miraggio. Sono tantissimi, tutti vicini uno all’altro in modo da formare delle vere e proprie isole mobili. Accanto a loro delle macchie bianche composte dai Pellicani e i Gabbiani che volano sopra di loro. La patria degli Uccelli, non riusciamo a tenere il conto delle specie diverse, anche Mascia a volte si confonde con i nomi. Riusciamo a scorgere sulla riva Gnu, Zebre e Giraffe e sullo sfondo la macchia Rosa prima dell’azzurro dell’acqua. Percorriamo un tratto collinare sotto alle montagne dove regnano i Baobab, su di un grosso masso prendono il sole degli Iraci delle Rocce. Si riapre la vista sul Lago questa volta sono le Giraffe a fare da contorno. Guadiamo il fiume che in questo periodo dell’anno è completamente secco. Una Giraffa ci taglia la strada, dietro di lei delle Zebre. Un Gruppo di Zebre è intento a mangiare da un albero. Gli scorci sul Lago con gli animali che pascolano e i Fenicotteri Rosa sullo sfondo sono mozzafiato e non ci stanchiamo di ammirarli e di fotografarli. Incontriamo anche una piccola antilope Dik Dik. Una carcassa di un Bufalo ci fa bloccare l’auto. Dietro di essa seminascosta una Leonessa sta facendo la guardia. L’odore è intenso, nauseabondo, le mosce sono numerose, ma la voglia di attendere l’alzata della Leonessa è grande. Sono dei Leoni particolari quelli del Lago Manyara, hanno la capacità di salire sugli alberi e sono difficili da scovare. La Leonessa sbarra gli occhi incuriosita dai rumori. Ci spostiamo pochi metri per raggiungere il Lago e fare uno spuntino. Ovviamente non scendiamo dall’auto potrebbero esserci degli altri Leoni nelle vicinanze. Ritorniamo nel “luogo del delitto” la Leonessa ora è completamente fuori dalla vegetazione, ma l’odore della carogna è ancora più forte. Costeggiamo di nuovo il lago e ammiriamo la fauna e la miriade di uccelli. Parcheggiamo in località Hotspring dove scendiamo attraverso una scalinata sul lago. Qui c’è una sorgente termale dove si può toccare l’acqua calda che sgorga dalle rocce. Delle Lucertole variopinte si crogiolano al sole. Dei lavoratori stanno ultimando una passerella che permetterà di addentrarsi nel Lago per ammirare meglio gli animali. Usciamo dal Parco e riprendiamo la strada principale. A bordo strada sulle cime degli alberi hanno nidificato le Cicogne. Risaie e piantagioni di Caffé si possono scorgere sul percorso. Un caleidoscopico bailamme a bordo strada desta la nostra attenzione… è un Mercato Masai. Ci fermiamo per scattare qualche foto. I colori sono inebrianti, la dominanza è il rosso e il blu con tutte le sfumature cromatiche compresi i violacei. Si vende di tutto dalle cibarie ai vestiti passando dalle scarpe ai contenitori. La merce è sui carretti o per terra ma sempre sopra a dei lenzuoli. Nessuno è trasandato, tutti vestono in maniera curata, possiamo dire elegante. Sicuramente sono eleganti i loro modi, non c’è confusione anche se il mercato è molto frequentato. Proseguiamo e l’aeroporto ci comunica che siamo alle porte di Arusha. Mascia ci porta fino al nostro Lodge che abbiamo prenotato dall’Italia, l’Oasi’s Lodge & Restaurant. Per raggiungerlo si deve percorrere una strada sterrata in un quartiere povero della Città. Anche la Jeep fa fatica ad assorbire tutte le buche. Ma ne vale la pena dato che il Lodge è una vera e propria oasi a pochi chilometri dalla Città. Le Capanne sono molto grandi divise in due alloggi. Nel nostro ci sono due letti matrimoniali e un lettino, il bagno è molto ampio e con tutti i confort. Ne approfittiamo per farci subito una doccia e riprendere le energie. Il letto comodo ci concilia a sdraiarci e viene presto l’ora di cena saltando la visita in città. Il Ristorante è ben curato e possiamo finalmente berci delle birre ghiacciate. Anche la cena è saporita e il locale molto accogliente. Ne approfittiamo per soggiornare ancora un po’ e collegare il nostro Pc a internet per conoscere le notizie dal Mondo ormai “staccato” da dieci giorni. Abbiamo ancora un’intera mattinata da spendere ad Arusha con il programma tutto da creare. Quelli proposti in loco sono, sia costosi, che di lunga durata, e noi alle 14 abbiamo la Navetta che ci porta a Nairobi. Non sappiamo chi e quando ci verrà a prendere, ma questo clima più volte lo abbiamo respirato in Africa. Con tutta calma andiamo a dormire anche perché la mattina seguente non abbiamo safari da fare.

Martedì 19 agosto Ci svegliamo con i rumori della Hall dove già alle 6 accendono la Tv. Ma sono orari ormai assorbiti dal nostro organismo, quindi ci alziamo e andiamo a fare colazione. È un’altra struttura ad ospitarci, aperta che lascia quindi entrare la frescura del mattino. Non siamo più abituati a tanta scelta e riempiamo il piatto di leccornie compresa la frutta di stagione. Su un sito troviamo molte cose da fare ad Arusha, tra cui visitare un Museo per poi fare un giro in centro. Ci facciamo chiamare un taxi dall’Hotel per portarci in centro, ma strada facendo cambiamo idea, ci consiglia di visitare il Serpentario con il vicino Museo dei Masai. Concordiamo il costo della corsa (30 dollari) e accettiamo. Sulla strada vediamo una piantagione di Caffé, il tassista ci dice che si può visitarla, lo faremo a ritorno. L’entrata al Serpentario è di 15 dollari, in verità ci aveva detto 5, ci sono delle teche con dentro vari rettili tra cui Pitoni e Mamba con il terribile Mamba Verde. In un vasca delle Testuggini. Poi delle gabbie con dei Gufi, un’Aquila e delle Scimmie. Un’altra vasca con dei Varani, poi i Coccodrilli tra cui alcuni in estinzione. Ci spostiamo nel Museo Masai dove sono raffigurati i momenti della vita del Villaggio. Si esce in un vero e proprio Villaggio Masai dove la vita quotidiana è in pieno fermento. Delle donna stanno raccogliendo la paglia legandola a covoni. Gli uomini sono vicini al bestiame. Non si vogliono fare riprendere ne tanto meno fotografare. Concordiamo il prezzo con uno di loro, ma anche gli altri voglio lo stesso. Diventa una sorta di baratto continuo, sempre con il sorriso sulla bocca. Cerchiamo di rubare qualche immagine, le donne non voglio farsi fotografare e si coprono il volto. I più giovani sono a pascolare il bestiame. Ogni tanto s’intravedono a bordo del villaggio. Lasciamo i Masai per tornare ad Arusha ma prima ci fermiamo in una piantagione di Caffé. Entriamo nei locali adibiti alla vendita, dove ci sono le varietà dell’aromatica pianta. Ci spiegano le varie tipologie e la bontà del prodotto locale. Decidiamo di fare una visita alle piantagioni (15 dollari il biglietto). Ci trasferiamo in un’altra struttura dove ferve l’attività giornaliera. Un addetto ci porta all’interno della piantagione e ci spiega la storia del caffé. È il periodo della raccolta e i frutti sono maturi. Torniamo alla base e ci offrono una tazza del caffé locale, avvertiamo subito che è molto forte. La mattina è trascorsa in fretta e la Navetta per Nairobi ci attende ma prima dobbiamo tornare al Lodge con la speranza che qualcuno ci verrà a prendere. Riusciamo anche a fare un veloce pasto, alle 13 ci vengono a prendere per portarci al parcheggio dove parte lo shuttle. Questa volta è un pullman da turismo, prendiamo posto dopo aver segnalato all’autista il nostro Hotel a Nairobi. Ci danno l’ok e saliamo rassicurati. Arriviamo alla frontiera con il Kenya già con molto ritardo, le procedure si fanno lunghe e scende la notte quando la strada da fare è ancora molta. Per strada vediamo un gruppo di Dromedari e nei paesini la vita è ancora piena di vita. Le rassicurazioni date dall’autista tanzaniano vengono smentite dal personale sul pullman. Ben 5 persone che alla frontiera si sono date il cambio. Ci dicono che nessuno ci porterà al nostro Hotel a Nairobi e che dovremo provvedercelo da noi. Ci facciamo chiamare l’Hotel per farci venire a prendere, ma non c’è una risposta sicura. Il traffico è caotico e puzzolente, gli odori si mischiano. Si viaggia a passo d’uomo e l’ora è sempre più tarda. Scesi dalla “corriera” c’è un taxi ad aspettarci mandato dall’Hotel. Inizia a zizagare nel traffico poi prende una zona isolata della città, quindi una strada disconnessa, solo dopo mezzora arriva al Meltonia Lodge. Ci accorgiamo che c’era una strada più breve che la distanza era minore quindi non gli diamo ciò che chiedeva ma molto meno, lui ammette di aver allungato, prende i soldi (circa 10 dollari) e se ne va. Al Meltonia (circa 100 euro la stanza), una Suite ci aspetta per la notte. Si entra in un salottino, si attraversa un piccolo corridoio dove ci sono le porte per la cucina e il bagno, per arrivare nell’ampia camera da letto composta da due letti matrimoniali. Scendiamo per la cena nel l’intimo ristorantino vicino alla piscina. Risaliamo con la stanchezza sulle spalle. Siamo preoccupati di perdere il volo della mattina seguente alle 8.40, nella reception ci dicono che per arrivare all’aeroporto ci vogliono 1 ora e un quarto, 1 ora e mezzo. Prenotiamo un taxi per le 6. Ci facciamo preparare la colazione che portiamo direttamente in camera per risparmiare tempo.

Mercoledì 20 agosto L’orologio biologico ci sveglia alle 5, consumiamo la colazione e siamo pronti per partire. È notte ma già c’è il taxi sotto ad aspettarci. C’è poco traffico, un po’ di più è quello che entra in città. Dopo venti minuti siamo già all’aeroporto. Paghiamo il tassista (30 dollari) e svolgiamo le procedure d’imbarco. Dopo sei ore siamo già su Istanbul. La coincidenza non ci da modo di perdere tempo, un pezzo di pizza al volo e di nuovo sull’aereo che porta a casa. Ritiriamo la macchina che abbiamo parcheggiato ad AltaQuota (40 euro)… la vacanza è finita.

Cosa resta? Tanti sono i dubbi che ci poniamo sulla vita che facciamo noi “civilizzati”. Abbiamo forse dimenticato le basi in cui poggia la nostra esistenza. Siamo concentrati su noi stessi, viziati da una società che ha perso completamente la rotta. Siamo come dei cavalli con dei paraocchi, che ci fanno vedere solo quello che la “società dei consumi” vuole farci vendere. Siamo concentrati nell’avere, nel possedere, perdendo il senso proprio della vita. L’Africa ti riporta indietro sui valori fondamentali della vita. Ti fa riscoprire il senso di un sorriso. Tutto quello che noi pensiamo che non ci sia, è quello che non serve… il superfluo. Ha priorità differenti dalle nostre, e se a volte possono coincidere, sono palesate in maniera completamente diversa. È difficile descrivere le sensazioni che si provano nel vedere la natura. Una natura diversa dalla nostra. Ma non perché ci sono degli animali che noi abbiamo estinto, ma perché tutto è lasciato allo stato naturale come era milioni di anni fa. Il “solco” tracciato dall’uomo è piccolo, irrisorio per la vastità che si può scorgere.



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