La pace sarà domani..

Feeling da deja-vu visto che vi scrivo dallo stesso computer, dello stesso ostello, dove sono a stato a Yerevan due anni fa. E niente e' cambiato da allora, si puo' ancora giocare a "conta gli scarafaggi anche tu", i muri sono ancora >sporchi e con scritte di esseri passati di qui in tempi oramai preistorici, e il bagno ha ancora le stesse...
Scritto da: franxx
la pace sarà domani..
Viaggiatori: da solo
Spesa: 500 €
Feeling da deja-vu visto che vi scrivo dallo stesso computer, dello stesso ostello, dove sono a stato a Yerevan due anni fa.

E niente e’ cambiato da allora, si puo’ ancora giocare a “conta gli scarafaggi anche tu”, i muri sono ancora >sporchi e con scritte di esseri passati di qui in tempi oramai preistorici, e il bagno ha ancora le stesse orribili piastrelle a pezzi che si scrostano dal muro ad ogni passaggio.

L’unica cosa che in effetti e’ cambiata e’ che ora le tende non pendono piu’ dalle finestre a pezzi, perche’ ora le finestre sono state murate.

Ma tutto sommato e’ un buon posto dove stare, costa poco, e’ super centrale e il personale e’ simpatico, e poi ho sviluppato un certo feeling per posti dilapidati e dall’aspetto di un’ospedale psichiatrico. Cosa ci vogliamo fare, sono strano, lo so… 🙂 La marshutka (pulmino collettivo) che abbiamo preso da Tbilisi per Yerevan doveva partire alle 9 del mattino e invece e’ partita alle 12:30, senza alcuna vera motivazione.

Quando, il miracolo e’ avvenuto, e siamo partiti, a bordo del bus eravamo oltre io e il la mia ragazza Israeliana, c’erano una famigliola di Russi, una vecchietta Georgiana che si era caricata di borse piene di ortaggi, un tipo armeno che sembrava uscito da un film di Mafia, un ragazzo russo vestito come John Travolta in “La febbre del sabato sera” e per finire un tipo strano che beveva lunghe sorsate di brandy e ruttava, puntuale, dopo ogni bevuta.

Roba che non avviene nemmeno con la coca cola, chissa’ come fanno questo brandy armeno?! Ma quando il bus, finalmente sta per uscire, una figura con lo zaino in spalla si materializza davanti il bus, bloccandolo con la sua intera figura, e quando la porta si apre sale a bordo. E si siede vicino a me, incastrandomi tra la mia ragazza, che dorme appoggiata al finestrino, e lui che si è sistemato a mo’ di tetris tra la contadina e me.

E no, tutto ma non lui! Ha un’aria da fratello sfiga che si vede lontano un miglio. Una cosa che si sviluppa viaggiando e’ il senso per le persone, e studiandole, vedendole, si riconosce subito che tipo di viaggiatore hai davanti.

E quando ti trovi davanti un tipo goffo, grasso, con il marsupio appeso alle pieghe della pancia,pantaloni di quelli allacciati in vita con una fantasia di animali di tipo ornitologico colore arancio forte, come se qualcuno ci avesse vomitato sopra, faccia con espressione allegra oltre il limite e viso che sembra un collage di lifting andato male, capisci subito che e’ uno sfigato.

Oddio, quando si siede mi accorgo che gli sorrido per cortesia. Noooooooo, cosa ho fatto! Non volevo farlo, vai via! Ha capito male, ha interpretato il mio sorriso come un “siediti e parla con me” e cosi, lo sfigato con la faccia da bambolotto made in China si appoggia vicino a me e mi squadra con gioia e inizia col dirmi “vai anche tu a Yerevan?” No, pirla, vado a Katmandu! Ma certo che vado a Yerevan, visto che e’ l’unica destinazione di questa marshutka! La mia ragazza, malgrado la tocchi dolcemente con il mio braccio non accenna a svegliarsi, , cosi’ mi tocca ascoltarlo e sopportarlo. Preferivo la compagnia del pastore con i denti d’oro incontrato in Azerbaijan.

E’ talmente malmostoso e pesante che ho fatto finta di addormentarmi, solo che destino ha voluto che in quel momento preciso fossimo alla frontiera.

Quando lasciamo la Georgia, mentre aspetto di andare a presentare il mio passaporto un cane randagio si mette a giocare con i miei pantaloni e inizia a tirarli, a strattonarli e morderli, e riesce anche a strapparli.

E nessuno che viene ad aiutarmi. Forse il cane non vuole giocare. Cavolo e se avesse la rabbia? Ma possibile che con tutti questi militari e doganieri nessuno abbia una carabina per sparare a sta bestia?! Intanto, mentre il cane mi sta azzannando, avviene il dramma: la vecchina georgiana ha il passaporto scaduto e i militari iniziano a urlarle qualcosa e mandarla via, mentre lei si aggrappa al banchetto del doganiere e lo prega di farla passare.

Tutti sono concentrati su quello e nessuno si accorge del cane randagio che mi sta molestando. Oddio cosa faccio?! Lo sfigato del bus e’ l’unico che mi nota e quando mi vede con i denti del cane incollati al mio polpaccio, mi dice con aria allegra e felice “ah, come sei carino a giocare con quel cane randagio” No pirla, non sto giocando!!!! E come se niente fosse avvenuto mi molla li al mio destino tra le fauci canine e mi passa davanti al controllo passaporti.

Alla fine, con do uno strattone al cane che se ne va con un pezzo dei miei jeans, e mentre mi libero della bestia, tutti sono andati a seguire il dramma e ci vuole una buona ora prima che qualcuno riesca a portarsi via la vecchina. Cosi’ accumuliamo un’altra ora di ritardo, fantastico! Quando arriviamo a Yerevan, a sera tardi oramai, lo sfigato, che poi si scopre essere belga, propone con allegria e gioia di ” uscire tutti assieme, di andare a bere, a godersi la vita, a ridere e ballare” e mentre guardo la mia ragazza con una faccia che assomiglia al Chappy, cosa gli dice “perche’ no” Nooooooooooooooo!!!! A tutto c’e’ un limite.

Cosi’ in ostello ho dovuto far finta di star male, e per colpa mia ci siamo persi una serata qui a Yerevan, che e’ sempre e comunque un posto molto interessante. Ma il destino, aveva in progetto che uscissimo insieme, io la mia ragazza e il belga, e si sa, il destino si può solo rimandare ma non evitare… Infatti rincontriamo Johannes, questo è il nome del Belga sfigato, in Nagorno Karabakh, la nostra destinazione.

Il Nagorno Karabakh è uno di quegli stati fantasma, un territorio conteso tra Azerbaijan e Armenia e che, da sempre, fin dai tempi dell’URSS, è stata una delle polveriere del Caucaso.

In prevalenza è sempre stato popolato da Armeni, ma Stalin annesse il Karakh alla repubblica socialista sovietica dell’Azerbaijan e fino alla sua dissoluzione, non hai mai digerito di far parte dei vicini mussulmani e così diversi dagli Armeni.

Così, appena l’URSS si sfaldò, inizio pure la guerra civile lasciando tanti morti e tante città distrutte, e ora il Karabakh, è ancora una zona contesa e sotto stretto controllo dell’ONU.

Ancora non sanno se vogliono essere annessi all’Armenia, la grande madre patria, oppure diventare indipendenti, e nel frattempo si sono organizzati emettendo il loro visto, le loro leggi e avendo anche un proprio parlamento e bandiera. Non si sa mai che domani si decida per essere indipendenti da tutto e tutti…

Per recarsi in Karabakh ci vuole un visto, che si può ottenere a Yerevan o, ancora più semplice, ottenere a Stepanekert, la capitale del Nagorno Karabakh.

Per recarci la, a Stepanekert, prendiamo una marshutka da Yerevan e in 6 ore tra soste in ristorantini unti e bistrattati e pause bagno da espletare in campi vicino la strada, arriviamo alla famigerata “frontiera” col Karabakh.

Io e la mia ragazza, che siamo gli unici stranieri a bordo, veniamo fatti scendere e l’ufficiale addetto scruta per una buona decina di minuti i nostri passaporti, non sapendo bene cosa farsene. Io li avrei venduti fossi stato in lui, ma non mi sembrava un tipo sveglio. Poi finalmente, ha un’illuminazione e annota i nostri numeri di passaporto in un logoro registro, e una volta scritti tutti i dettagli possibili che poteva su di noi, ci dice che, una volta a Stepanekert, dobbiamo recarci al ministero per gli affari esteri.

Così’, appena arrivati a Stepanekert, incominciamo a cercare il ministero, che si materializza quasi subito davanti i nostri occhi.

Li ci fanno compilare un modulo e poi, ci chiamano per l’intervista per il visto. Ci chiedono perché siamo qui, cosa cerchiamo, cosa facciamo e qual è il nostro itinerario.

Ora, non appena snoccioliamo nomi, l’intervistatrice ci blocca dicendoci “No, no visit there” e il nostro morale subisce un grande colpo, visto che tutti i progetti che avevamo vengono spazzati via.

Così alla fine ci fa lei un percorso, dove possiamo solo andare a Stepanekert, Shushi la città distrutta e il monastero di Gandzasar. Fine. E’ bello sentirti accolti bene, e in questo paese sanno decisamente come farlo…

Ogni nostra domanda viene ripetutamente ignorata e quando, stupidamente, chiedo se almeno sia possibile comprare una guida turistica sul Karabakh, la signora in questione diventa paranoica e mi copre di domande su perché, per come, come mai, cosa ci voglio fare con una guida??? Come non detto, grazie e arrivederci.

Il nostro progetto era di camminare tra la distruzione, di parlare con i contadini che sono stati in mezzo al fuoco dell’odio etnico, di vedere i campi minati , ma alla fine scopriamo che il Kabakh non è così. Anzi. E’ anni luce più moderno dell’Armenia e, in tanti angoli, sembra piuttosto di stare negli USA che non in Caucaso. Che delusione… Anche i prezzi sono scioccanti, tanto che al primo hotel dove ci dirigiamo, ci chiedono la bellezza di 100$ per notte, e con aria felice ci dicono pure che c’è la connessione WIFI. Bene, peccato che gli spieghiamo che siamo dei viaggiatori con zaino in spalla e pochi soldi nel portafoglio, e appena finiamo la frase veniamo invitati ad andarcene.

Idem anche nel secondo hotel disponibile. Qui volevano 70 dollari per notte e questo lo scopriamo tramite la prostituta dell’hotel che fa da interprete al magnaccia che gestisce hotel e bordello annesso. Così decidiamo di prendere un taxi, e chiediamo al tassista di portarci in un hotel economico. E con orrore, davanti ai nostri occhi, si materializza l’hotel Evelina.

Appena varchiamo la reception veniamo soffocati da un terribile odore di disperazione, di povertà, di cavoli bolliti. Il gestore ci fa vedere le stanze, che sono tutte scrostate e ferme agli anni ’70 in termini d’arredamento e poi ci dice, “se volete stanza oggi vi facio good price”… 6 dollari.

Eravamo gli unici clienti possibili. Certo, il prezzo è buono, peccato per un piccolo dettaglio: Non esiste il bagno. E nemmeno un lurido lavandino dove lavarsi. Quando glielo chiediamo ci dice “ma per pipi andate in campo qvi dietro e per acqua, kaputt. No akva” Ah…

La mia ragazza mi guarda sconvolta e mi dice “non vorrai rimanere mica qui” e dopo 5 minuti, ringraziamo e saliamo nuovamente sul taxi. Alla fine il tassista ci prende per stanchezza e ci porta in un posto creato per il suicidio, fuori dalla città, situato in una specie di burrone che si affaccia su una base militare.

Il simpatico posto, si chiama Hotel Motel Pavillon Kazanlak o qualcosa di simile, e sicuramente in tempi precedenti era usato come ospedale psichiatrico.

I muri sono bianchi e attraversati da una lunga linea verde pisello, e il letto è costituito da una coperta appoggiata su di un pezzo di legno duro. Non scherzo!! Però abbiamo anche in stanza la TV satellitare e un tavolo apparecchiato già di tutto quello che potremmo chiedere… Mah, spendere un pochino di più per il letto no? De gusti bus…

La particolarità di questo posto e che ti vengono a chiedere i soldi all’una del mattino. Tu sei li che dormi beato e, ad un certo punto senti bussare ossessivamente alla porta. Credi di sognare. Poi ti svegli, e senti che i colpi sono reali. Ti alzi pensando al peggio, che magari è scoppiato un’incendio e bisogna evacuare l’hotel, e invece, quando trafelato apri la porta, trovi la padrona dell’hotel che ti chiede soldi… Che i clienti precedenti siano scappati nel cuore della notte? Di sicuro sanno come farsi rispettare… E che cavolo!! Il primo giorno in Karabakh lo trascorriamo alla scoperta di Shushi, la città che sicuramente doveva essere stata meravigliosa e che invece ora è un’ammasso di rovine lasciate così, abbandonate a se stesse. Certo, hanno ricostruito la parte nuova, dove ora abita la popolazione locale, ma la parte vecchia, quelle mussulmana, con stradine e moschee, giace ancora in pezzi che sono ancora una ferita aperta. Nessuno ci controlla o ci degna di attenzione, nemmeno quando di arrampichiamo su nei minareti abbandonati o in palazzi disabitati, dove ancora memorie dei tempi passati segnano la loro presenza, e trovo questo posto surreale, di un fascino incredibile ed indescrivibile.

Il secondo giorno invece andiamo a visitare il monastero di Gandzasar, uno dei più antichi di tutta l’Armenia, e nel bus incontriamo dei puzzolenti ragazzini che decidono di unirsi a noi tutto il giorno e che ci coprono di fotografie, come se fossimo delle star famose. Credo che ci abbiamo fatto più di 100 fotografie, mi chiedo poi cosa se ne faranno…

Il resto dei giorni che ci rimangono disponibili (il visto è valido solo 5 gg) li passiamo annoiandoci a Stepanekert, che non offre di che, se non che una sera, incontriamo per strada, solitario e con la solita aria da sfigato, il famoso Belga conosciuto sulla marshutka dalla Georgia a Yerevan!! Appena ci vede è contento come un bambino a natale e subito c’invita a bere una birra con lui. Così scopriamo che si chiama Johann, che viene da Anversa e che proprio sfigato non è, visto che si è fatto anni prima in moto dal Belgio al Kyrgystan! Alla fine è anche simpatico, anche se terribilmente solo, così decidiamo di darci appuntamento il giorno dopo per cena, povero… e invece cosa ci dice?! Che se ne sta andando in Iran e che sarebbe partito il giorno dopo! Mi devo rimangiare tutto quello detto su di lui…Vergogna,vergogna ,vergogna Quando ritorniamo in Armenia, dobbiamo mollare alla frontiera il nostro permesso di circolazione che dovevamo tenere con noi in caso fossimo stati fermati dalla polizia, e con un moto di dispiacere lo lascio tra le mani sudate dell’ufficiale addetto che non si fa nemmeno impietosire da un povero straniero desideroso di tenersi quel pezzo di carta.

E in men che non si dica, ci troviamo a Goris, nel sud dell’Armenia, dove conosciamo Yoav e Eran, due ragazzi israeliani che stanno viaggiando anche loro per il caucaso, e alla fine ci fondiamo in un unico grande gruppo di risate, escursioni e divertimento, fino a quando ahimè il giorno di partire arriva e con un cuore pesante lasciamo Yerevan e l’Armenia.

E’stata una vacanza lunga, stressante tante volte e non sempre semplice, ma davvero porterò con me tutti i ricordi che ho avuto in questi lunghi giorni passati qui nel Caucaso. E nel pensarlo, mi mancano già tutti i visi, i sorrisi, i gusti e i colori visti, ma che per sempre vivranno nei miei ricordi e nelle mie storie…



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