La buena sorte in ARGENTINA, Bolivia e Cile

La buena suerte del viaggio in ARGENTINA, BOLIVIA E CILE Prima parte: Argentina Un po' si dorme un po' si veglia nella lunga notte verso l'Argentina. Ad ogni risveglio l'abbaglio di una strepitosa luna piena che inonda di luce lo spazio. Sotto di noi un leggero strato di nubi, sembra un campo appena arato. Tra un solco e l'altro luccica...
Scritto da: Maria_Grazia
la buena sorte in argentina, bolivia e cile
Partenza il: 12/10/2002
Ritorno il: 09/11/2002
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 2000 €
La buena suerte del viaggio in ARGENTINA, BOLIVIA E CILE Prima parte: Argentina Un po’ si dorme un po’ si veglia nella lunga notte verso l’Argentina. Ad ogni risveglio l’abbaglio di una strepitosa luna piena che inonda di luce lo spazio.

Sotto di noi un leggero strato di nubi, sembra un campo appena arato. Tra un solco e l’altro luccica l’oceano. Poi compare la costa e piccoli grumi di luci dorate, sperduti in un vastissimo nero che rivelano la presenza di piccoli paesi. Riprendono le nubi, due fasce scure sopra e sotto di noi. E l’aereo fila in mezzo, nello stretto corridoio di luminosa luce azzurra. In alto ancora la luna, come un fantastico faro. Ormai è l’alba e ora tutto è perfettamente nitido e ben visibile. Sorvoliamo una zona di basse montagne che, come le nubi prima, sono disposte in regolari file parallele. Non ci sono ne case, ne fiumi, ma tanto verde e rare rocce. Ora si, un grande fiume, dilagato su una vasta area. Poi campi ben squadrati dalle tante sfumature di verde o altri marron con le venature del marmo. Ghirigori di alberi, tasselli di bosco dai contorni geometrici. Piccoli fiumi sinuosi. Siepi. Pianura ed enormi praterie, pochi alberi, tutto è verde.

Una rada trama di sottili fili rettilinei collega case isolate, città isolate, sperdute isole di umanità.

Ancora mare? No, questo è l’enorme Rio de la Plata dall’acqua color paglia che si interpone tra Uruguay e Argentina. Ed ecco Buenos Aires, enorme. Non è il momento di visitarla, le notizie allarmanti sulla situazione sociale ed economica del paese ci tengono fuori da questa grande città con il suo carico di tensioni. Partiamo subito per Salta, un importante centro del nord, che ci cattura e affascina con la sua atmosfera coloniale. Il nord è l’Argentina delle origini, qui la popolazione è in maggior parte india e meticcia. Gli Spagnoli hanno avuto grosse difficoltà ad assoggettare queste popolazioni che si sono arrese solo dopo lunghi anni di resistenza. Oggi qui la vita appare serena e i pericoli della grande metropoli sembrano lontani. Ci muoviamo in tutta tranquillità.

Salta fu fondata dagli spagnoli nel 1582 per sfruttare il clima favorevole all’agricoltura ma anche per sviluppare scambi commerciali con i centri minerari degli altopiani Boliviani. Ora è l’ideale punto di partenza per spettacolari circuiti su vertiginose strade di montagna o nelle vicine zone pre amazzoniche.

La struttura della città è molto semplice, i quartieri sono divisi in “quadre” e tutto ha un aspetto molto geometrico. Anche il traffico è ordinato e raramente si sente suonare il clacson. Le strade hanno pochissima segnaletica, in genere sono a senso unico e agli incroci apparentemente vige la regola che chi arriva prima passa. Il centro è proprio bello, con una grande piazza ombrosa, bei palazzi storici, chiese opulente, portici, cortili interni ed un vivacissimo mercato coperto dove si possono anche mangiare gustose specialità: empanadas (pasta variamente ripiena) al forno o fritte, tamales e humitas mais e carne avvolti in foglie di granturco e lessati.

Ci piace tutto: i caffè dove si fanno ricche colazioni, i ristoranti che servono carne favolosa, l’artigianato di legno, ceramica, fibra di chaguar (simile alla yucca), semi e naturalmente sofficissima lana. Ma ci sono anche altre particolarità: banche che non cambiano valuta, operazione che si può fare più facilmente al bar con degli operatori di cambio semi-ufficiali che provvisti di valigette piene di soldi cambiano disinvoltamente qualsiasi cifra. Ma attenzione, perché questo paese ha molte monete: la nazionale, le regionali e almeno un altro paio valido solo in questa città e dintorni.

Dopo aver fatto un po’ di scorte ci spostiamo verso sud. Non è difficile trovare piccoli negozietti provvisti di tutto quello che serve: pane, bevande, verdura e formaggio ma qualche scorta conviene averla dato che i centri abitati non sono molto frequenti e anche per il carburante quando c’è l’occasione conviene sempre fare il pieno.

Non lontano, verso sud, CAFAYATE circondata da giganteschi vigneti. Visitiamo alcune bodegas (cantine), le più grandi e famose producono fiumi di vino. Bodega Etchart: 4 milioni di litri/anno. Il vino più prezioso viene lasciato invecchiare 18 mesi in botti di rovere (le botti arrivano dalla Francia) e 2 anni in bottiglia. Si tratta di un vino forte dal grado alcolico alto, adatto a lunghi invecchiamenti. Tra i tanti assaggi abbiamo preferito il bianco torrontés dal colore giallo dorato e dal sapore fruttato. Una vera squisitezza poi è il gelato di vino sia bianco che rosso, inventato dal proprietario della Heladeria Miranda. Inebriati e felici lasciamo la pianura e ci alziamo lungo la Valle di CALCHAQUIES, uno vero scrigno di bellezze. La strada segue tutte le pieghe dei monti e si snoda in un numero infinito di curve. La valle, dapprima verde e molto fertile, via via che si sale diventa sempre più arida, fino a prendere le caratteristiche di un deserto. Alti cactus Cardon (crescono 1 cm l’anno) con la tipica forma “a candelabro” e radi rinsecchiti cespugli di cortadera (tradizionalmente usata come copertura delle case) sono le uniche piante. Per la protezione di questa flora e della relativa fauna – tra cui le rare vigogne e l’altrettanto raro cervo taruca – è stato istituito il Parco Nazionale LOS CARDONES. Salendo anche il cielo si trasforma, opaco e lattiginoso in fondovalle, azzurro e terso in alto. La strada è sterrata, si procede lentamente, ideale per osservare un sacco di cose: gruppi di verdi pappagallini con il loro volo giocoso e ondeggiante, una bottega di oggetti in legno di cardon, alcuni tessitori con il loro laboratorio all’aperto. Tessono lunghi teli di lana, neri e rossi che diventeranno ponchos con i colori di Salta. Tra i tanti pueblos della vallata CACHI è il più caratteristico. Risale al periodo preispanico. E’ a quota a 2200 metri e sullo sfondo c’è l’omonimo Nevado di 6720 metri con la cima innevata. Anche qui un piccolo e interessante museo archeologico con panciuti vasi di terracotta luccicante di mica.

Il pomeriggio è ormai alla fine e la luce del tramonto accentua il rosso dei monti circostanti. Solo suoni di vento e di uccelli. Ne voci ne rumori, la gente esce soprattutto di mattina e l’economia, prevalentemente agricola, si svolge con sistemi tradizionali. Il mattino dopo nuovi paesaggi. Ora ci infiliamo nella QUEBRADA DE LAS FLECHAS una stretta gola arida e rossa, con pinnacoli dalle strane forme e con le tracce di antichissimi fiumi ormai prosciugati. Tira un vento fortissimo e l’aria è velata di sabbia che frusta la pelle. Anche tenere gli occhi aperti è una sofferenza e così la macchina diventa un confortevole rifugio. Fuori è un inferno. Un venditore di artigianato – in un posto assurdamente lontano da tutto – ha la bancarella sommersa di polvere e lui, in attesa di rari e improbabili acquirenti, tenta un rifugio dietro ad una roccia. Contrariamente la VALLE ENCANTADA è immersa in una staticità che sembra frutto di un sortilegio. Assoluto silenzio, ossa sbiancate dalle intemperie, nebbie sinistre, un verde irreale, greggi semi brade. Un paio di cani scheletriti e docili ci avvicina e ci accompagna nella passeggiata, desiderosi di carezze e avidi di cibo. Numerosissime sono anche le tracce del passato e vari i siti da visitare. A SANTA ROSA DE TASTIL, 3100 mt, sopra la cima di un morro (monte) ci sono le rovine di un importante centro preispanico sulla rotta di importanti commerci tra la puna e le valli. L’aria è sottile e fresca, l’orizzonte spazioso, il posto strategico. Tra il 1360 e il 1440 d.C. Era abitato da più di 2000 persone. Rimangono solo le basi degli edifici. 440 abitazioni vicine, vicine. Cinque le piazze, ma nessun vicolo, nessuna strada e ciò fa suppone che si camminasse sui muri e si accedesse alle case da aperture poste sul tetto. Gran parte dei ritrovamenti sono al Museo di Salta ma parecchi oggetti si possono vedere anche in quello minuscolo e piacevole del vicino pueblo (villaggio). Particolari e curiose le intonatissime “pietre che suonano”, simili ad un primitivo xilofono. Fuori dal museo un affettuoso candido lama addomesticato, innamoratosi di una nostra amica non ha temuto di infilare la testa nell’auto per un ultimo appassionato bacetto. QUILMES invece era giu nella valle, addossata alle colline. La zona era fertile e gli indios Quilmes ancor prima del 1000 coltivavano mais e allevavano lama. Mura possenti, ma non abbastanza per gli spagnoli, che al loro arrivo vollero sottomettere gli abitanti, ma loro combatterono per 130 anni. Alla fine, stremati, furono deportati a più di 1000 chilometri a sud per fondare Buenos Aires. Nel piccolo museo varie urne funerarie in cui venivano raccolte le ossa dei defunti. Queste urne, simili ad un’anfora con il collo molto largo, venivano decorate con motivi stilizzati raffiguranti animali sacri.

Pitture rupestri invece si vedono a GUACHIPAS. In una bella vallata adatta al pascolo e forse anche a riti religiosi un grande numero di caverne e di anfratti rocciosi sono stati dipinti con figure colorate di rosso, nero e bianco. Dal carattere delle scene si presume che gli artisti fossero pastori e anche sacerdoti. Sono raffigurati lama, nandù, guerrieri e danzatori simili a farfalle.

Finita la visita si va a casa di Daniel, l’amico autista, che ha voluto farci conoscere moglie e figlia, ma anche le 3 sorelle e 1 fratello della moglie, 2 nipotine, 2 cani, 1 gatto. Ospiti per un giorno, siamo stati accolti con calore e familiarità in una casa tipica, adatta a più famiglie: cucina e bagno in comune e varie stanze da letto attorno ad un vasto cortile interno con portico, fontana, lavatoio e forni. Dopo i saluti, vari giri di mate, la bevanda nazionale. L’infuso di yerba (ilex paraguanensis) servito nel mate, il tipico contenitore – zucca o legno scavato – sorbito con l’altrettanto tipica bombilla, è simbolo di amicizia e di benvenuto. Questa abitudine si sta trasformando e almeno nei bar viene servito, in maniera più sbrigativa e magari più igienica ma sicuramente più banale, con le normalissime bustine filtro, ma il gusto non somiglia minimamente a quello preparato tradizionalmente e passato di mano in mano come nella casa di Daniel. Da qui riprenderemo il viaggio verso la Bolivia, ma non prima di aver assaggiato la buonissima carne, speziata con cumino e aglio, cotta nei tipici forni di terra a forma di cupola che ritroveremo spesso durante il viaggio di questa meravigliosa parte di mondo.

Per ulteriori informazioni e/o contatti Maria Grazia Brusegan mariagrazia@arcam-mirano.It per vedere alcune foto www.Arcam-mirano.It rubrica “viaggi popoli culture”



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